domenica 16 febbraio 2020

Ci sono viaggi che non ti spieghi: prenoti un biglietto per gioco e ti ritrovi ad obliterarlo per davvero.
Ricordo quelli in cui lasciavo la mia mamma naturale per ritrovare quella adottiva.
Nel percorrere certe distanze riscoprivo la mia esistenza nelle automobili che guidavo.
Per esempio, quando partivo di notte da Potenza riuscivo a leggere sul parabrezza i pensieri che mi accompagnavano per tutto il viaggio.
Il buio tagliato dai fari, a fatica riusciva a regalare ottimismo per quello che avrei vissuto in quegli anni a Torino: davanti ai miei occhi solo pioggia, nebbia e foschia.
Non esistevano fendinebbia o tergicristalli adatti a far sì che il mio viaggiare diventasse più sereno.
Il lunotto posteriore invece era vita.
Nessuna brezza mi sfiorava in volto ad infastidire la mia voglia di rivincita, e nessun abbagliante sopraggiungeva nel verso opposto al mio per demotivare il modo in cui avevo deciso di affrontare ciò che avevo davanti.
Preferivo voltarmi indietro e ricordare quello che lasciavo piuttosto che guardare avanti ed immaginare quello che avrei trovato: il lunotto del mondo passato vinceva sempre contro il parabrezza del mondo futuro.
Col tempo mi accorsi che le strade che mi incutevano paura erano diventate decisamente più sicure, grazie a Qualcuno che aveva regalato agli uomini la possibilità di guardarsi indietro di tanto in tanto, incollandola a caldo sopra quel mondo di vetro.
Lo specchietto retrovisore mi permetteva di scrutare il passato senza mai distogliere lo sguardo da ciò che avevo di fronte: un futuro da poliziotto in una città che cominciai ad amare dal primo giorno.
#unanottealcentralino




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