martedì 28 settembre 2021

Certe notti per dormire mi metto a leggere e invece avrei bisogno di attimi di silenzio.
Certe volte anche con te (e sai che ti voglio bene) mi arrabbio inutilmente senza una vera ragione.
Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca.
Mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali.
Non servono tranquillanti o terapie:
ci vuole un'altra vita...e la mia sei tu.
Su divani abbandonati a telecomandi in mano, storie di sottofondo:
"Dallas" e "I ricchi piangono".
Sulle strade la terza linea del metrò che avanza e macchine parcheggiate in tripla fila, e la sera ritorno con la noia e la stanchezza.
Non servono più eccitanti o ideologie: ci vuole un'altra vita...e la mia sei tu.

(Franco Battiato - Un'altra vita)




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lunedì 27 settembre 2021

Stazione Porta Susa di Torino. Saliamo alle 14:29 sulla carrozza 5 del treno ITALO 8147.
Io e Giorgia occupiamo i posti associati ai nostri biglietti.
Sono il 35 e il 36.
Viaggiamo in direzione Roma per un un appuntamento di lavoro che ci vedrà impegnati domani mattina alle 11:00.
In questo istante ITALO sfreccia nella direzione opposta alle nostre sedute, ma fino a qualche ora fa non era così, perché la visione del panorama offerto dal nostro finestrino era regolare e priva di sorprese.
Posti occupati e posti vuoti.
Gente che legge e gente che dorme.
Qualche passeggero urla in lingua inglese perso in una videoconferenza di lavoro.
Due amici di viaggio poco distanti da noi, si raccontano avventure sessuali segrete e mai raccontate per timore di essere scoperti.
Il controllore è già passato due volte per sincerarsi del nostro regolare permesso di soggiorno in questo mondo malato.
Prima il green pass, poi il biglietto.
Questi uffiiciali vestiti da vigili col leprotto dorato, sembrano tutti incazzati.
Danno l'impressione di voler godere nel beccare qualche abusivo o disattento al rispetto delle regole imposte da questa emergenza chiamata COVID-19, che molto di più si respira rimanendo seduti sopra i sedili grigi di questo quadrupede da corsa rosso.
La macchinetta del caffè ha prezzi improponibili.
Aspettiamo di arrivare a destinazione per colorare di caffeina le nostre labbra.
Le comunicazioni che preavvisano la stazione di arrivo sono in italiano prima e in inglese dopo: snervanti e assordanti perché ripetitive e metalliche.
Mi chiedo se tutti questi volti spaventati coperti dalle mascherine più strane abbiano nascosti gli stessi sorrisi che un tempo coloravano questi viaggi.
Non riesco a decifrare cosa passa nella mente di tutti gli zombie impauriti seduti e immobili come noi.
Nessuno riesce più a perdersi osservando la vita che sfuma veloce fuori dai finestrini che il caso gli ha assegnato; da contro tutti sembrano esperti ad incrociare lo sguardo di chi come me si alza per andare in bagno e si sente fotosegnalato dagli accertatori dela corretta posizione della mia mascherina.
Poveri noi, schiavi delle paure che ci hanno iniettato e soggiogati dalle stampe delle certificazioni verdi.
Non vedo l'ora di arrivare a Trastevere, lì dove portano tutte le strade, per sedermi a un tavolo all'aperto e gustare di quella libertà dimenticata che oramai in posti come questi non si respira più.
E pensare che per gli uomini i treni della speranza dovevano rimanere solo un brutto ricordo, eppure in viaggi come questo la stessa speranza mi va d'immaginarla come l'ultima sorella a dover morire.




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sabato 25 settembre 2021

La soddisfazione si assapora gustando con calma ogni ingrediente appartenente al piatto che ti è riuscito.
Dentro puoi trovarci qualche dissapore, equilibri agrodolci non rispettati alla perfezione o disegni astratti contenuti nell'impiattamento diverso da quello che avevi immaginato di preparare.
Quando condividi le tue ricette con i commensali della tua ristorazione, non temi il loro giudizio, ma osservi ciò che capita quando ingoiano i singoli bocconi delle tua specialità.
Sai di non essere l'unico cuoco impegnato dentro la cucina dell'educazione, ma ogni visita guidata e non fatta ai fornelli del tuo impero, ha sempre un ritorno soddisfacente.
Ho preparato sul tavoliere della vita un gran bel piatto, che inorgogliosce le mie scommesse e premia le mie preoccupazioni.
Non l'ho fatto da solo però.
Devo ringraziare molte figure presenti tra i fumi inevitabili delle cotture.
Ognuno ha fatto la sua parte e per tutti c'è stato e rimarrà per sempre il giusto riconoscimento per l'amore mostrato e le attenzioni investite.
Non si realizza un capolavoro profumato senza l'aiuto di figure mosse dalla tua stessa passione, ma è certo che lo si può ottenere anche quando mai nessuno ti ha insegnato a cucinarlo.
È l'amore che rende il cielo...stellato.




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giovedì 23 settembre 2021

Quando mi dicono che sono pazzo per aver deciso di diventare di nuovo papà dopo diciassette anni, sorrido e penso alle mie ali più grandi.
Mi chiedo se per molti il tempo rappresenta solo un tempio, quando invece per me è sostanzialmente quello che hai scritto alla sua ombra.
Costruire un tempo nuovo vale quanto la bellezza di poterlo ricordare in una vita lontana da quella attuale, sotto la maestosità dei templi che solo in pochi, purtroppo, saranno in grado di riconoscere come rari.
Quando mi chiedono se sono felice per aver deciso di diventare di nuovo papà dopo 17 anni, sorrido...e penso a quanto sarebbe bello se ogni uomo potesse avere tante ali con cui poter volare invece di rimanere a terra a rimuginare il letame simile a quello che io adoro trovare nei pannolini.




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mercoledì 15 settembre 2021

Caro Rosario.
Non ho idea di quanti anni siano passati dal giorno in cui ci siamo conosciuti, ma rispetto a te mi sono sempre sentito più vecchio, anche perché così era allora e così è ancora oggi.
Scrivo di te in questa notte di settembre perché la tua visita a casa ieri ha smosso inaspettatamente qualcosa.
Ho pensato a quante volte ci hanno scambiato per fratelli e a quante volte abbiamo pure confermato che fosse veramente così per prendere in giro i curiosi della domenica.
Ho pensato alla tua Sicilia e alla mia Basilicata, ai colori della tua famiglia tanto simili a quelli della mia, alla forma delle strade che hai percorso, tortuose e asfaltate più o meno come quelle che hanno interessato anche i miei viaggi.
Tante cose belle.
Tante cose brutte.
Le mezze maratone, i giri di pista in Ferrari e gli arancini cucinati da Simona.
E poi Victor, Dante e la mia separazione.
Eleonora, la mia ripartenza inaspettata.
Le vasche in via Garibaldi, le notti al CIE e gli accompagnamenti fuori sede.
Il tuo silenzio palermitano e le mie polemiche da brigantaggio.
Il tuo sorriso finale rompeva sempre ogni duscussione intrapresa con chi si lamentava, un sorriso ghignoso a confermare ciò che io puntualmente esternavo e tu ascoltavi in silenzio.
Custodivi sempre le tue idee senza parlare, in attesa di confermare la tua condivisione solo dopo che io le rendessi pubbliche.
Vecchio volpino dagli occhi di ghiaccio.
Nonostante non fossimo vatussi, siamo sempre stati in grado di non farci mettere i piedi in testa da nessuno.
Ieri sera, mentre ti vedevo andar via, ho pensato al tuo libro e al mio, a ciò che abbiamo già scritto e a ciò che scriveremo ancora.
Chissà cosa capiterà quando te ne andrai da Torino e mi ritroverò a ricordarti come un amico lontano a cui ho voluto veramente bene.
Ma non è questo il tempo per parlare al futuro, e forse neanche quello per utilizzare il presente.
Bisognerebbe essere in grado di mescolarli tutti col passato per gustare della bellezza della nostra attuale amicizia.
Tu sei il mio ricordo in divisa.
Allo stadio, entrambi lontani dai contingenti ma vicini di zona.
L'unica cosa buona che ci rimaneva da fare rimanendo in segreteria era metterci a guidare le Grandi Punto bicolori comandate dai responsabili di settore.
E allora giù con i nostri nomi stampati nelle note di fine servizio a fare invidia al resto della truppa.
Tu sei il mio ricordo in borghese.
In piazza e nelle sale congressi degli hotel del centro, a trascorrere ore interminabili o giornate passate velocemente con una radio in mano che trasmetteva cronache decisamente più operative.
Tu sei il mio ricordo sindacale, l'amico che ripone fiducia nell'amico, esponendosi sempre e comunque nonostante le tante chiamate inviate prive di risposte, nonostante i boschi della Val di Susa sognati diversamente ma ritrovati più impervi di prima, nonostante le continue richieste di uomini e gli smontanti previsti e non fruiti.
Non importa che il mondo conosca alla perfezione ciò di cui stiamo parlando.
Quel che conta è che il mondo sia certo che io e te abbiamo sempre avuto qualcosa di cui parlare.
Il tempo non lo fermi, e anche quando sarebbe utile farlo per prendersi quello strettamente necessario per decidere quale auto civile guidare ed in quale settore del mondo andare, ti accorgi che lui vola, viaggia alto prendendoti in giro e giudicando ogni scelta da lassù.
Caro Rosario, caro amico mio.
Ovunque andrai, qualsiasi cosa farai ed in qualsiasi momento tutto questo capiterà, mi troverai sempre al tuo fianco, pronto ad abbracciarti forte, come spesso abbiamo fatto ultimamente.
Proverò a rimanere attento, ad ascoltarti in silenzio ed in rispettosa attesa che il tuo sorriso cancelli ogni preoccupazione come ha sempre fatto.
Hai ragione tu, questa foto fa cagare, ma è vera, reale e piena di sorprese.
Tu sei senza collo e sembra addirittura che ti manchi un braccio.
Mi da l'impressione che qualcuno abbia montato il tuo volto sopra il corpo di qualcun altro.
Io in infradito, tu con le Hogan: sembri persino più alto di me.
Tante rughe e col monumento ai caduti in testa io.
Un viso ancora giovane e ancora tanti capelli da pettinare tu.
Il monumento ai caduti io, stracolmo di capelli
Potevamo sceglierne una più bella tra le tante scattate negli anni, ma forse è giusto lasciare in questa pagina del nostro diario la mia camicia di jeans stretta indossata per l'occasione abbracciata alla tua camicia di cotone sudata dal mattino in ufficio.
Che la vita continui pure a raccontare i nostri difetti, quelli simili alle sorprese immortalate dentro alla nostra ultima fotografia.
Sarà il ricordo di quello che rimarrà veramente a confermare che non serve molto per considerarsi amici: basta essere veri come noi.




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sabato 11 settembre 2021

11 settembre 2001/11 settembre 2021

Quella mattina eravamo a Potenza.
Ci trovavamo all'interno dello Stadio "Alfredo Viviani" per seguire l'allenamento  pomeridiano della squadra locale.
Samuel aveva appena 2 mesi di vita, era nato il 5 luglio, ed io gli avevo promesso che lo avrei portato quanto prima in quell'ovetto sulle gradinate della mia curva preferita a vedere il Potenza.
Ricordo che frignava in braccio al nonno che non vedeva l'ora di commentare esercizi e scelte tecniche dell'allenatore Pasquale Arleo, reduce da un triplete dilettantistico niente male.
A Potenza, almeno all'epoca, c'era l'abitudine di entrare e uscire dallo stadio durante gli allenamenti per andare a gustare il caffè da Locatelli, una caffetteria antistante l'ingresso principale del campo sportivo.
Amici e tifosi sconosciuti, entravano e uscivamo da quell'ingresso commentando sempre e rigorosamente in dialetto quello che accadeva prima dentro e poi fuori.
Un mondo colorato solo di rosso e di blu, ed uno rumoroso e fastidioso fatto di notizie e pettegolezzi che arrivavano da pianeti diversi ben lontani dal tempio sportivo del capoluogo lucano.
Noi uomini del nord rimanevamo sugli spalti incuriositi da tutto questo, sempre attenti ad osservare il campo di gioco e perennemente pronti a commentare ogni passaggio.
Ricordo che un tifoso si sedette di fianco a noi raccontando di aver visto alla televisione del bar Locatelli che un attacco terroristico senza precedenti aveva colpito gli Stati Uniti.
Ovviamente vi risparmierò il testo stracolmo di imprecazioni in stretto dialetto potentino, condividendone la sola traduzione in italiano.
Una vera e propria dichiarazione di guerra, aveva colpito gli Stati Uniti.
Erano le 14:45 circa sui nostri spalti, le 08:45 in America.
Un aereo si era schiantato contro una delle torri gemelle del World Trade Center a New York.
Sembravamo tutti robot impietriti, tifosi trasformati in manichini inconsapevoli che quel film fosse solo all'inizio perché da lì a poco sarebbe continuato.
Infatti tutto ciò che accadde di seguito è tragedia che ha scritto la storia, una triste storia.
Alle 09:05 un secondo aereo si schianta contro l'altra torre del World Trade Center.
Alle 09:33 si apprende che uno degli aerei kamikaze era un Boeing 767 delle American Airlines dirottato da Boston.
Alke 09:40 la polizia americana comunica ufficialmente alle persone vicine al World Trade Center che un terzo aereo sarebbe potuto avvicinarsi alle due torri, ma alle 09:45 un incendio brucia mezzo Pentagono.
Alle 10:07 il primo grattacielo colpito a New York non c'è più.
Stessa cosa accade alle 10:27 alla seconda torre del World Trade Center.
Morti e feriti non si contavano e i nostri commenti calcistici si trasformarono in tristi considerazioni indirizzate ai responsabili di quella tragedia.
L'entusiasmo di sentirsi parte fino a quel momento di un puzzle fatto di cori e striscioni che sigillavano una passione, rese tutti nomadi, traghettati e confusi in un mondo decisamente più realistico, fatto di sangue e macerie.
Oggi Samuel ha vent'anni, studia Lettere classiche, torna allo stadio potentino appena può, ma legge ancora di quell'attentato.
Il Potenza è in serie C, il bar Locatelli continua a preparare caffè ma l'Afghanistan è in mano ai talebani, con donne rinchiuse e coperte dal burqa e bambini intrappolati che non sapranno mai cosa vuol dire tifare per una squadra di calcio.
Il nostro mondo è rosso e blu come lo era allora, giallo e verde da qualche parte, azzurro e bianco in altri posti ancora.
Il calcio sembra la metafora perfetta per colorare l'occidente, ma è certo che dopo vent'anni i saccenti delle politiche internazionali non sono stati ancora in grado di sconfiggere il terrorismo, anzi, abbandonano definitivamente i civili disperati dalla repressione di questi carnevaleschi criminali.
Mi chiedo se fa male chi continua ad aspettare solo il weekend per entrare negli stadi a tifare per la propria squadra del cuore, disinteressandosi di quello che accade oltre i confini dei tanti "Alfredo Viviani" sparsi nel mondo, considerata la sconfitta a tavolino della partita contro il terrorismo.
Mi chiedo come si possa ancora accettare quanto sta accadendo a Kabul ed in tante altre città del mondo, rivedendo ripetutamente, in una giornata come questa, le immagini in televisione di quelle torri che si sbriciolano come pan grattato.
Mi chiedo se ci sarà mai un giorno in cui potrò godere dopo ulteriori vent'anni con mio figlio Lorenzo, di un mondo diverso, fatto di cori che inneggiano alla pace e striscioni che raccontano la solidarietà per i più deboli, quella vera e priva di armi.
Io a questa curva sul mondo ci credo, devo crederci, perché la bellezza di ciò che non crolla vale più di ciò che uccide in nome di un Dio.
A questo punto è meglio che la fede rimanga esclusivamente calcistica, piuttosto che averne una capace di tirare giù altre torri.
Onore agli americani dispersi, a quelli deceduti e a chi racconterà per sempre quella tragedia seduto sopra una sedia a rotelle.
Noi però non rimaniamo comodi al bar Locatelli a gustare un caffè, oppure sulle gradinate colorate a commentare le diagonali difensive degli altri, perché per difenderci da questi terroristi purtroppo non basterà cantare, ma scendere in campo.




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giovedì 9 settembre 2021

Quando mi capitava d'incontrarti in giro per Chieri con uno dei miei motorini, mi ripetevi sempre la stessa cosa:
- Collè: prima o poi te le sequestro tutte ste cazzo de biciclette...
Pazzesco.
Avevi il sorriso sempre stampato in volto, eppure un malumore nascosto, invisibile ma conosciuto a tutti, ti stava consumando la vita.
Abbiamo sottovalutato quanto bisogno di attenzione avevi, quanto silenzio interiore c'era in fondo alla tua stravaganza e quanto desiderio d'aiuto imploravi raccontandoci la tua forza, la tua onnipotenza e la tua finta sicurezza.
Abbiamo provato a farti sentire il migliore, ognuno con le proprie forze e ciascuno con i propri mezzi, ma evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa.
Forse siamo un po' tutti responsabili di questa tragedia assurda, che non coinvolge solo te ma chi ti ha amato, chi ti ha voluto bene e chi stasera, come me, continua a chiedersi cosa sarebbe servito per evitare tutto questo.
Perdonaci Fabio.
Perdona me e chi con me avrebbe potuto e non ha fatto abbastanza.
Sali in sella alla tua Ducati oppure allaccia la cintura di sicurezza a bordo del tuo BMW.
Decidi tu come partire, due o quattro ruote che siano.
Fai buon viaggio e almeno lassù prova a non sequestrare nulla agli angeli.
E se ti capitasse di distrarti durante i tanti posti di blocco che deciderai di fare, voltati verso di noi e continua a sorridere, convinto e certo che in fin dei conti ti abbiamo sempre voluto bene: "tutti".




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lunedì 6 settembre 2021

Molte delle ore antecedenti alla nascita di Lorenzo le abbiamo trascorse così, riconoscendo nel dentro e nel fuori due grossi protagonisti di un'attesa durata quasi dodici ore.
Nell'andirivieni di via Ventimiglia, tra decine di caffè bevuti in decine di bar diversi e toscanelli fumati sopra panchine di periferia sbiadite dal sole, ho riavvolto un nastro.
La mia vita rivista al sapore di caffeina e tabacco tostato, perennemente impegnato a ricercare un po' di fresco in una giornata picchiata dal sole.
Il dentro e il fuori, le telefonate del "ci siamo" e quelle del "è ancora presto", i tracciati attestanti le contrazioni e i momenti di recupero.
Che altalena la nostra esistenza.
Viviamo gioie e dolori come fossero prevedibili, ricercando gli uni ed evitando gli altri, festeggiando per le nozze e piangendo per le separazioni.
Investiamo giustamente in ciò per cui crediamo valga la pena vivere, ma non sempre le cose vanno come avremmo desiderato.
Il relativismo dei nostri copioni recitati e imparati a memoria trasforma tutto in commedia, spettacoli fatti di atti e scene dove il rischio gioca con la speranza, l'impegno prende a calci i sacrifici non compresi e la rinuncia calcifica la noia rendendola deterrente per la fuga.
La gente parla, giudica e conclude.
Gli amici si schierano, i parenti spariscono e i figli crescono.
Bisogna ricostruirsi da soli, non c'è via di scampo.
Nessuno psicologo, nessun raggio di sole, nessun libro dentro cui trovare le risposte.
Ti avvicini nuovamente al portone della felicità e citofoni a uno di quei campanelli con le lucine sempre accese e ben incastonate dentro al telaio della speranza.
Non hai codici strani per aprirlo, ma sei obbligato a scegliere piano e residenza: gioia o dolore, forza o debolezza, entusiasmo o depressione.
Il condominio è alto e di abitazioni ce ne sono molte.
Il dentro e il fuori, una scelta inevitabile per abbracciare un posto caldo nuovo o continuare a vivere al freddo fuori da ogni nuova emozione.
Da quando sei arrivata tu la mia nuova casa non conosce perdite, gli intonaci sono saldi e i rubinetti non lacrimano più.
La tua forza è il mio scudo, la tua dolcezza il mio riparo e il tuo disordine la mia felicità.
Tu mi hai insegnato cosa sono la quiete, il silenzio e la pazienza, la generosità d'animo e l'ospitalità del cuore.
Di campanelli ne abbiamo dovuti suonare tanti; quando ci hanno aperto siamo entrati e abbiamo mangiato, bevuto e cantato con chi ci ha ospitato, ma quando ci hanno lasciati fuori, siamo andati via mano nella mano comunque sorridenti, pur avendo intravisto dietro le tende delle finestre qualcuno che ci osservava.
Con Lorenzo dentro sei stata esemplare.
Con Lorenzo fuori sei più adorabile di prima.
Per regalarlo al mondo hai sofferto con dignitoso silenzio, un prima e un dopo senza lagnanze, un dentro e un fuori fatto di sorrisi e ottimismo.
Quando mi hanno chiamato per dirmi che potevo salire da te, il mio cuore si è fermato.
Ho aspettato davanti a quella sala parto la fine del mio nastro, da solo e in silenzio, distratto dal solo rumore degli ascensori distanti che di tanto in tanto salivano e scendevano.
Mentre i titoli di coda si dissolvevano tra le pareti di quell'attesa, sei arrivata tu, distesa e sorridente sopra un lettino a rotelle, scortata da due fatine vestite con un camice verde.
Dentro e fuori.
Il dolore, poi la luce, quella vera, quella calda, quella che non avrei mai immaginato di rivedere dopo diciassette anni.
In quella sala parto ho guardato dove non avrei potuto guardare con Samuel e Christian vista la giovane età.
Ho cercato di non farmi distrarre da cose che avevo già visto, provando a concentrare la mia attenzione ad emozioni meno biologiche ma pur sempre vitali.
La vita, vista come ogni uomo dovrebbe vederla, nel dolore della mamma che ce la dona e nella gioia del papà che la riceve.
Grazie Eleonora, grazie per avermi regalato una notte di San Lorenzo in più.
Grazie per avermi donato tra le braccia un'altra stella, una stella caduta dal cielo sulla nostra casa, una stella accolta da tutti con indicibile amore, una stella che proteggeremo e cureremo insieme con l'amore dei suoi fratelli più grandi, dei suoi nonni, degli zii, dei cugini, degli amici, dei colleghi, di tutti quelli che come noi non hanno più voglia di aspettare dietro le sbarre di un ospedale o sotto il portone di un palazzo abbandonato, ma sentono il bisogno di rinascere ogni giorno per strillare di gioia tra un cordone ombelicale tagliato e una poppata famelica sorridente.
Sei il mio sorriso, il mio "va tutto bene', il mio ok preferito.
Stringimi forte adesso che puoi: Lorenzo è fuori e non è più dentro, per questo non avrò più paura di farti male.




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sabato 4 settembre 2021

È stata dura ma la notte è passata.
Il buio ha fatto spazio alla luce, il dolore alla gioia ed il pianto ai sorrisi.
Adesso goditi la tua nuova casa, apri gli occhi sul mondo e guardalo così come stanotte hai guardato noi.
Ti accorgerai che di buio quaggiù ne esiste ancora tanto e che sono molti a non avere ancora capito come bisogna abitarlo.
Dovrai essere forte.
Imparerai a far finta che sia fatto solo di luce, privo di temporali e vento freddo, ma anche quando ti sarà difficile trovare rifugio lontano dal grigiore delle stagioni più fredde, fermati e ricorda questa notte.
Io e la mamma ci prenderemo cura di te.
Scalderemo il tuo corpo accarezzandolo piano con gli oli più buoni, proteggeremo i tuoi pensieri dai lampi e dai tuoni delle piogge e culleremo ogni pianto fino a farti tornare a sognare.
Sorridi e lasciati accompagnare verso il sole che sta per scaldarti.
Chiedici ciò che vuoi e stai pur certo che grazie alle attenzioni che riusciremo a donarti, diventerai ricco, benestante e non bisognoso di nulla, perché avrai con te l'amore, quello vero, l'unico grande tesoro da custodire nella cassaforte del tuo cuore.
Lasciala aperta, spalancala al mondo e butta via la chiave.
Dona senza aspettative e perdona indistintamente da chi lo merita o forse no.
Se incontrerai l'odio, voltati dall'altra parte, se ti citofoneranno chiedendoti di andare ad insultare qualcuno, resta a casa con noi, e se troverai troppo insidiosa la strada sopra cui ti capiterà di viaggiare, fermati e torna indietro.
Samuel e Christian t'insegneranno a giocare a calcio, le nonne a cucinare e i nonni a potare le piante.
Io e la mamma ti ameremo per sempre, e questa sarà l'avventura più bella che il destino poteva riservare alle nostre vite.
Ben arrivato a casa Lorenzo.
Vado a farmi incidere il tuo nome sopra un bellissimo fiocco azzurro perché dentro la mia anima ci sei già.




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