mercoledì 15 settembre 2021

Caro Rosario.
Non ho idea di quanti anni siano passati dal giorno in cui ci siamo conosciuti, ma rispetto a te mi sono sempre sentito più vecchio, anche perché così era allora e così è ancora oggi.
Scrivo di te in questa notte di settembre perché la tua visita a casa ieri ha smosso inaspettatamente qualcosa.
Ho pensato a quante volte ci hanno scambiato per fratelli e a quante volte abbiamo pure confermato che fosse veramente così per prendere in giro i curiosi della domenica.
Ho pensato alla tua Sicilia e alla mia Basilicata, ai colori della tua famiglia tanto simili a quelli della mia, alla forma delle strade che hai percorso, tortuose e asfaltate più o meno come quelle che hanno interessato anche i miei viaggi.
Tante cose belle.
Tante cose brutte.
Le mezze maratone, i giri di pista in Ferrari e gli arancini cucinati da Simona.
E poi Victor, Dante e la mia separazione.
Eleonora, la mia ripartenza inaspettata.
Le vasche in via Garibaldi, le notti al CIE e gli accompagnamenti fuori sede.
Il tuo silenzio palermitano e le mie polemiche da brigantaggio.
Il tuo sorriso finale rompeva sempre ogni duscussione intrapresa con chi si lamentava, un sorriso ghignoso a confermare ciò che io puntualmente esternavo e tu ascoltavi in silenzio.
Custodivi sempre le tue idee senza parlare, in attesa di confermare la tua condivisione solo dopo che io le rendessi pubbliche.
Vecchio volpino dagli occhi di ghiaccio.
Nonostante non fossimo vatussi, siamo sempre stati in grado di non farci mettere i piedi in testa da nessuno.
Ieri sera, mentre ti vedevo andar via, ho pensato al tuo libro e al mio, a ciò che abbiamo già scritto e a ciò che scriveremo ancora.
Chissà cosa capiterà quando te ne andrai da Torino e mi ritroverò a ricordarti come un amico lontano a cui ho voluto veramente bene.
Ma non è questo il tempo per parlare al futuro, e forse neanche quello per utilizzare il presente.
Bisognerebbe essere in grado di mescolarli tutti col passato per gustare della bellezza della nostra attuale amicizia.
Tu sei il mio ricordo in divisa.
Allo stadio, entrambi lontani dai contingenti ma vicini di zona.
L'unica cosa buona che ci rimaneva da fare rimanendo in segreteria era metterci a guidare le Grandi Punto bicolori comandate dai responsabili di settore.
E allora giù con i nostri nomi stampati nelle note di fine servizio a fare invidia al resto della truppa.
Tu sei il mio ricordo in borghese.
In piazza e nelle sale congressi degli hotel del centro, a trascorrere ore interminabili o giornate passate velocemente con una radio in mano che trasmetteva cronache decisamente più operative.
Tu sei il mio ricordo sindacale, l'amico che ripone fiducia nell'amico, esponendosi sempre e comunque nonostante le tante chiamate inviate prive di risposte, nonostante i boschi della Val di Susa sognati diversamente ma ritrovati più impervi di prima, nonostante le continue richieste di uomini e gli smontanti previsti e non fruiti.
Non importa che il mondo conosca alla perfezione ciò di cui stiamo parlando.
Quel che conta è che il mondo sia certo che io e te abbiamo sempre avuto qualcosa di cui parlare.
Il tempo non lo fermi, e anche quando sarebbe utile farlo per prendersi quello strettamente necessario per decidere quale auto civile guidare ed in quale settore del mondo andare, ti accorgi che lui vola, viaggia alto prendendoti in giro e giudicando ogni scelta da lassù.
Caro Rosario, caro amico mio.
Ovunque andrai, qualsiasi cosa farai ed in qualsiasi momento tutto questo capiterà, mi troverai sempre al tuo fianco, pronto ad abbracciarti forte, come spesso abbiamo fatto ultimamente.
Proverò a rimanere attento, ad ascoltarti in silenzio ed in rispettosa attesa che il tuo sorriso cancelli ogni preoccupazione come ha sempre fatto.
Hai ragione tu, questa foto fa cagare, ma è vera, reale e piena di sorprese.
Tu sei senza collo e sembra addirittura che ti manchi un braccio.
Mi da l'impressione che qualcuno abbia montato il tuo volto sopra il corpo di qualcun altro.
Io in infradito, tu con le Hogan: sembri persino più alto di me.
Tante rughe e col monumento ai caduti in testa io.
Un viso ancora giovane e ancora tanti capelli da pettinare tu.
Il monumento ai caduti io, stracolmo di capelli
Potevamo sceglierne una più bella tra le tante scattate negli anni, ma forse è giusto lasciare in questa pagina del nostro diario la mia camicia di jeans stretta indossata per l'occasione abbracciata alla tua camicia di cotone sudata dal mattino in ufficio.
Che la vita continui pure a raccontare i nostri difetti, quelli simili alle sorprese immortalate dentro alla nostra ultima fotografia.
Sarà il ricordo di quello che rimarrà veramente a confermare che non serve molto per considerarsi amici: basta essere veri come noi.




meraklidikos@gmail.com

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