sabato 29 febbraio 2020

Ogni uomo custodisce un sorriso da regalare al mondo, un tesoro ricevuto dal cielo senza alcuna discriminazione, un dono da incorniciare e da difendere con orgoglio per non permettere mai a nessuno di portarselo via. Provate a immaginare a come e quanto si vivrebbe meglio dentro a un mondo dove tutti fossero in grado di essere sempre felici: varrebbe quanto partire per un viaggio in cui si desidera guidare solo ciò che si è custodito gelosamente tra le mani, come se si transitasse sopra interminabili strade prive di buche portandosi dietro solamente ciò che si ama.
#unanottealcentralino




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Il Coronavirus ci ha reso apprensivi, trasportando ogni pensiero che ha ospitato le nostre giornate in una disarmante valle di timore.
Ci siamo adoperati a lavare le mani, a non  toccare ciò che è fermo e addirittura a guardare con scetticismo ciò che si muove.
A suon di starnuti, il Coronavirus ci ha preso a braccetto, accompagnando le nostre vite dentro un vortice che qualcuno ha addirIttura paragonato all'Apocalisse.
Gira e rigira la febbre è arrivata come ogni anno per tutti; la tosse ha infiammato le gole bruciate e la tachipirina si è sciolta dentro l'acqua dei bicchieri di vetro per abbassare le temperature dei corpi infuocati.
In attesa di essere tamponati da chi non è mai arrivato a soccorrerci, abbiamo ripreso a leggere un buon libro, e quando fra le mani pulite ci è capitata "A livella" di Totò, abbiamo misurato gli equilibri di questa epidemia accorgendoci che moriva chi era già morto e viveva chi era ancora vivo.
Supermercati svuotati, farmacie affollate, scuole chiuse e attività sportive sospese; nessun corso di aggiornamento, nessuno spettacolo, nessuna riunione e nessuna assemblea.
Per la preoccupazione degli egoisti ipocondriaci che hanno apertamente manifestato il timore di essere infetti, abbiamo imposto alle nostre menti una quarantena psicologica durata una settimana, una mascherina un giorno e un paio di guanti in lattice un secondo.
A cosa è servita questa battaglia mediatica? Ad arricchire la consapevolezza? A trascorrere il nostro tempo facendo più attenzione alla prevenzione? A confermare la fragilità degli uomini davanti alle scelte politiche fatte dagli uomini stessi?
Impotenza nell'impotenza, quella di un virus che sicuramente andava combattuto.
Egoismo nell'egoismo, quello di chi fingeva di preoccuparsi solo per se stesso e non per gli altri.
Paura nella paura, quella dei deboli di cuore e di mente che hanno dovuto rimanere svegli la notte davanti alle edizioni straordinarie dei telegiornali.
L'influenza più disarmante è stata quella delle decisioni non prese prima ma imposte dopo, quella dei campanelli d'allarme che suonavano e nessuno ascoltava; quella dei confini aperti e privi di filtraggio accurato.
Oggi siamo ormai tutti guariti, senza mascherine e senza guanti: aggiungiamo il CORONAVIRUS all'EBOLA, alla SARS e all'AVIARIA, e quando capiterà nuovamente di essere ospitati da qualche nuova pandemia, ricordiamoci che la responsabilità delle tarantelle che danzeremo, sarà di chi non avrà "prevenuto" e non certo di chi avrà "contratto".





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giovedì 27 febbraio 2020

Ci sono viaggi che non dovrebbero essere mai dimenticati, monumenti prima incrociati sui libri di scuola, poi visitati personalmente e immortalati nelle gallerie dei rullini moderni.
C'è chi osserva e chi è indifferente.
Qualcuno scatta, qualcun altro rimane in posa.
C'è chi scende e c'è chi sale, chi resta immobile e chi rischia di cadere.
Chi si impegna a scrivere la storia e chi gioca a leggerla come fosse geografia.
Per non correre il rischio di sfocare ogni obiettivo, bisogna sempre mettere a fuoco ciò che si vuole veramente ricordare, perché dentro tutto questo movimento esiste il nostro sorriso a splendere più di ogni altra "corona".




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mercoledì 26 febbraio 2020

Ci sono liste della spesa che non tutti sarebbero in grado di redigere.
Sono elenchi di articoli introvabili che, tutto sommato, non sono neanche tanto costosi vista la loro latitanza.
Prima di pagare i venditori, si smonta il vecchio per valutarne l'efficienza, e quando la revisione dei pezzi usurati non restituisce il risultato ricercato, aumenta l'elenco della speranza.
Ricambi che conducono a materiali e prezzi che portano a somme, tutti allineati dentro un carrello della spesa che dagli scaffali del rinnovamento porta alle casse dei conti finali.
C'è chi batte scontrini prima di vederci uscire dal magazzino dopo aver trovato ciò che ci serviva, chi batte lamiere per raddrizzare meglio i corpi ammaccati che si ritrova tra le mani e chi batte il tempo perché vorrebbe guidare quanto prima il risultato finale.
Siamo tutti battitori di un'asta concessa a pochi, schiavi e non liberi di una passione chiamata restauro.
VESPE nelle arnie e CIAO dentro i sorrisi, SI a tutti i dubbi da risolvere e BRAVO alle certezze che prendono forma.
Casco sempre allacciato e miscela rigorosamente al 2%: un colpo di pedale e via, i biglietti si perdono tra le mani dei curiosi che quantificano in euro una propensione al buon gusto che non si può  raccontare.
Lasciateci sognare: un giorno i due tempi si fermeranno per sempre e rimarranno parcheggiati a motore spento dentro il ricordo di chi è riuscito a resuscitarli.




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martedì 25 febbraio 2020

Buongiorno e felice risveglio a tutti, al mio passato da cucinare e al mio futuro da costruire; buongiorno a chi ha la febbre e non vede l'ora di guarire e a chi non ce l'ha e spera di non prenderla mai.
A chi corre senza accorgersene e a chi è ancora capace di andar piano, agli studenti felici a casa a riposare e agli operai costretti ad andare a lavorare.
Ai medici e agli infermieri, ai poliziotti e ai carabinieri, agli impiegati e ai carrozzieri.
Agli ispettori del lavoro incazzati e ai commessi innamorati, agli spazzini pensierosi e agli autisti sempre ombrosi; agli insegnanti disoccupati e ai centralinisti sempre occupati.
Buongiorno a tutti, belli e brutti, buoni e cattivi, cristiani praticanti convinti e atei sereni distanti.
Che il sole sorga per tutti e ci accompagni ancora una volta a scambiarci la buonanotte prima di riscrivere pagine più belle di quelle concluse.




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domenica 23 febbraio 2020

Quanto mi costa non parlare di politica neanche oggi.
Nel giorno dell'inaugurazione del blog, però, vi avevo giurato che non l'avrei mai fatto, quindi manterrò la mia promessa.
Or dunque udite bene:
"Non allarmatevi, proteggete le vostre vie respiratorie e lavatevi spesso le mani.
Non uscite, chiudetevi in casa e rimanete in quarantena a guardare le ultime notizie.
Parlate poco, non stringete la mano a nessuno e, se la febbre arriva, non recatevi in ospedale ma fate subito il 112".
Immagino abbiate ascoltato tutto attentamente.
A questo punto avete fatto tutto: per evitare il contagio e non morire basta attenersi a poche dichiarazioni fatte da un esperto.
Ma davvero la favola a cui siamo stati abituati in questi giorni finisce così?
"C'era una volta" era il principio di ogni sguardo spalancato alle emozioni di un racconto che puntualmente finiva per "e vissero felici e contenti".
Oggi di certo non c'è più nulla; sembra che rimanere vivi sia già un miracolo, e le possibilità di trascorre questa domenica come le altre, sono state ridotte dalla paura e dal timore di un virus orientale incontrollabile.
Poteva essere evitato tutto questo?
Io non lo so e forse non lo saprò mai, ma di certo l'Apocalisse di queste ore non è arrivata dai barconi dei migranti, ma seduta in prima classe dentro un treno di disattenzioni.
Se la Cina ci ha omaggiato di una corona così pesante, cosa avrebbe regalato l'Africa all'occidente per finire di addobbare i suoi troni spersi e apparentemente incrollabili?
Facciamoci una Corona con una fetta di limone e ubriachiamoci senza pensare perché 
non ci resta che sperare di continuare a stare bene.




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sabato 22 febbraio 2020

Risvegliarsi di sabato: l'attesa per ciò che arriverà e il ricordo per ciò che se n'è andato.
Di sabato c'è sempre il sole, alto sin da subito ad illuminare il silenzio di chi dorme più degli altri giorni.
Il sabato si sorride, è difficile rattristarsi; tutto è colorato di nuovo, e le pennellate buie date per errore nella settimana trascorsa, si dimenticano in fretta col passare delle ore.
Se si vivesse solo di sabato, nessuno sarebbe in grado di godere delle differenti sfumature del tempo; tutto parrebbe un piattume amorfo privo di emozioni fresche da interpretare.
La sola chiave indispensabile ad aprire le porte dei giorni che verranno è quella che garantisce l'arrivo certo di un sabato nuovo, una giornata perfetta per passeggiare nel presente lasciando alle spalle il passato.
Il futuro? Sarà sempre domenica.




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giovedì 20 febbraio 2020

Ci sono isole segrete che tutti credono e vantano di conoscere solamente perché abituati ad ormeggiarvi davanti con le proprie imbarcazioni, come tristi automobili parcheggiate negli spazi riservati di un centro commerciale, tutte pronte a caricare le buste della spesa.
Ci sono isole segrete che pochi scovano e vivono per davvero, nel silenzio e nella solitudine obbligata da regole ferree che ne proibiscono l’approdo ma che, una volta conquistate, concedono di vederci sopra il paradiso.
Siamo marinai in cerca di isole e isole in attesa di marinai; ad ognuno la sua rotta, ad ognuno la sua barca, ad ognuno il suo sogno.
#unanottealcentralino




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Lavoriamo per vivere o combattiamo per non morire?
Corriamo per tenerci in forma o ci sediamo per evitare infortuni?
Siamo schiavi del tempo che ci invecchia o gladiatori di un'arena che ci vuole sempre protagonisti?
Ci sono giorni in cui attendere e notti in cui partire, albe per cantare e tramonti per zittire: ci sono vite da costruire e finali da dimenticare.
Ogni sveglia è una proiezione immediata sui tetti delle nostre camere da letto, dove le menti ancora assonnata immaginano le battaglie che stanno per cominciare: un'automobile da tirar fuori dal garage o un treno che parte, un computer da accendere o un'aula da interrogare, una serranda di un negozio da alzare o un reparto ospedaliero da gestire.
Tutti abbiamo una scenografia da scrivere prima e da recitare dopo, dentro un perfetto copione che spesso si ripete nel rispetto delle decisioni di un regista che non è mai quello del giorno prima.
Vivere è sorridere, sempre, anche quando qualcosa non si mette in moto e qualcuno fa sciopero, quando la corrente non arriva e gli studenti non ti seguono, i clienti non entrano e le terapie aumentano.
Gli spettatori delle fiction che produciamo siamo sempre e solo noi, sui canali degli altri ma su reti diverse.

Il buonumore colora ogni cosa: dentro l'opera d'arte che disegna c'è sempre un sole che tutto fa rinascere e una luna che tutto fa spegnere.




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martedì 18 febbraio 2020

Guardare al futuro è sempre un dilemma; puoi immaginare ma non prevedere, al contrario di ciò che è stato già scritto e studiato.
Il passato è indelebile, incancellabile; non esistono gomme o bianchetti in grado di correggere errori di forma o di sostanza.
Ogni insegnamento rimanda a una lavagna tutta da riscrivere con i gessetti del tempo, e rispondere in modo corretto alle domande di chi ci interroga, offre la possibilità di ritornare al banco più saggi di quando ci siamo alzati.
Rimanere a scuola senza far tesoro di quello che abbiamo imparato, ci lascerà eterni studenti; se invece al suono della campanella riusciremo a scappare senza inciampare in qualche ostacolo, troveremo certamente qualcuno ad aspettarci, disposto ad imbarcarsi con noi per navigare ancora.




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Quello che piace a noi non piace a tutti, e riuscire a rispettare il parere degli altri non è cosa facile.
Vivere dando per scontato che ogni nostra passione debba essere inevitabilmente anche la passione degli altri, è un egoistico errore che chiunque rischierebbe di commettere ogni giorno.
Stamattina un confronto è servito a rallentare la mia presunzione, la mia offuscata visione del diverso, del nuovo, dell'insolito.
Riconoscersi ciechi grazie a chi racconta ciò che vede, aiuta ad aprire gli occhi per scoprire quello che inconsciamente ritenevamo impeccabile ma impeccabile non era; oppure imparare a non giudicare come errore ciò che non era del tutto sbagliato.
Decidere di lasciare un po' di ruggine sopra ai restauri del nostro modo di comportarci, valorizza la grandezza della merce che decidiamo di esporre.
Cromature più lucide, interni più comodi, meccaniche più efficienti: ogni ripartenza ha un suono nuovo per se stessi e per chi decide di accettarla.
Impariamo a chiedere scusa senza riconoscersi sconfitti: resettare per rimappare vale quanto smettere di sentirsi perfetti per investire nella correzione dei propri limiti.





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lunedì 17 febbraio 2020

Invecchiare è l'unica risposta che rende consapevoli.
Quando ti accorgi che il tempo per costruire quello che hai progettato se ne sta andando, non devi fare altro che sbrigarti per non pentirti un giorno di non esserci riuscito.
Ogni ruga nuova è un'occasione da sfruttare, ogni capello in meno una scommessa da ripetere e ogni pelo bianco in più un fiore nuovo da piantare.
Sfruttare le scommesse piantate: sembra facile, vero?
C'è chi non vive l'importanza del saper cogliere, chi invece non ama scommettere; c'è poi chi invece di piantare sradica, lasciandosi alle spalle pezzi di terreno smossi e aridi di ogni prospettiva futura.
Facciamo presto perché andiamo incontro alla primavera, la stagione ideale per rinascere senza che il destino ci batta il tempo.
Tornerà l'estate per godere delle nostre buone intenzioni, poi l'autunno per lasciarle ricadere e restituirle a una vita nuova e infine l'inverno a domandarci se siamo pronti a ricominciare.
È così che s'invecchia, cullati e non sfiniti dalla consapevolezza del vivere.




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domenica 16 febbraio 2020

Ci sono viaggi che non ti spieghi: prenoti un biglietto per gioco e ti ritrovi ad obliterarlo per davvero.
Ricordo quelli in cui lasciavo la mia mamma naturale per ritrovare quella adottiva.
Nel percorrere certe distanze riscoprivo la mia esistenza nelle automobili che guidavo.
Per esempio, quando partivo di notte da Potenza riuscivo a leggere sul parabrezza i pensieri che mi accompagnavano per tutto il viaggio.
Il buio tagliato dai fari, a fatica riusciva a regalare ottimismo per quello che avrei vissuto in quegli anni a Torino: davanti ai miei occhi solo pioggia, nebbia e foschia.
Non esistevano fendinebbia o tergicristalli adatti a far sì che il mio viaggiare diventasse più sereno.
Il lunotto posteriore invece era vita.
Nessuna brezza mi sfiorava in volto ad infastidire la mia voglia di rivincita, e nessun abbagliante sopraggiungeva nel verso opposto al mio per demotivare il modo in cui avevo deciso di affrontare ciò che avevo davanti.
Preferivo voltarmi indietro e ricordare quello che lasciavo piuttosto che guardare avanti ed immaginare quello che avrei trovato: il lunotto del mondo passato vinceva sempre contro il parabrezza del mondo futuro.
Col tempo mi accorsi che le strade che mi incutevano paura erano diventate decisamente più sicure, grazie a Qualcuno che aveva regalato agli uomini la possibilità di guardarsi indietro di tanto in tanto, incollandola a caldo sopra quel mondo di vetro.
Lo specchietto retrovisore mi permetteva di scrutare il passato senza mai distogliere lo sguardo da ciò che avevo di fronte: un futuro da poliziotto in una città che cominciai ad amare dal primo giorno.
#unanottealcentralino




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venerdì 14 febbraio 2020

Auguri a chi ci crede, a chi ancora lo sta cercando e a chi non riesce più a lasciarlo; a chi l'ha visto passare per un secondo e a chi è riuscito a fermarlo per una vita intera.
Auguri alle donne che lo aspettano e agli uomini che lo detestano; agli adolescenti desiderosi di viverlo e agli anziani stufi di festeggiarlo.
Auguri a chi ama fare un regalo e a chi invece racconta di non tenerci più di tanto, agli imprenditori che tornano a casa con un mazzo di fiori e agli operai che invece hanno tra le mani solo una rosa.
Ai galantuomini single che la regalano alle zitelle allegre e alle zitelle allegre che ricambiano...solo con un sorriso; a chi è dolce per natura e a chi si sforza per diventarlo.
Auguri alle donne che non ci sono più per aver confuso l'amore con la crocifissione, la grazia con il calvario, la vita con la morte; a chi non ha trovato il coraggio di abbandonarlo e a chi vive la paura di trascurarlo.
Auguri a chi non ha ancora capito che bisogna amare e a chi invece si lascia solo amare; ai sorrisi finti di chi non si emoziona più e alle lacrime vere di chi è giunto al capolinea.
Auguri a tutti gli innamorati della vita come me e a quelli che aspettano che la vita s'innamori di loro; ai temerari delle storie infinite e ai gladiatori delle toccate e fuga.
Auguri a chi crede di essere innamorato e non lo è e a chi invece lo è e non sa di esserlo.
Buona festa a tutti, insomma: che lo vogliate o no oggi è San Valentino!




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giovedì 13 febbraio 2020

Per risolvere il problema di piccoli spostamenti, da un po di tempo a questa parte Torino ha deciso di autorizzare l'invasione di questi insetti elettrici, a mio parere interessanti ed efficaci
Si vedono sfrecciare ovunque, sulle strade e sui marciapiedi, nelle isole pedonali e nei sottopassi delle stazioni, sotto i portici del centro e sopra i piedi dei pedoni.
Insomma: questa è l'era del monopattino.
Non entrerò nel merito della regolamentazione del loro utilizzo, ma una riflessione è doveroso farla: cosa passa nella testa dei fenomeni che dopo aver noleggiato un monopattino lo abbandonano dove gli pare?
Siamo partiti dal Torino Bike e abbiamo visto biciclette abbandonate ovunque, persino galleggianti nel Po; adesso cosa dobbiamo aspettarci? Di trovare qualche monopattino appeso in Piazza Castello?
Si vergogni chi trova intelligente scendere  dell'insetto a batteria noleggiato e lasciarlo dappertutto senza avere il buon senso di usare il cervello.
In Europa tali presunzioni contro il senso civico vengono sanzionate; qui invece sorridiamo, incuriositi dal funzionamento dell'applicazione che serve per utilizzarli e indifferenti alle normative obbligatorie che ne autorizzano il noleggio.
Cresciamo cazzarola, e per una volta cerchiamo di mostrare al mondo intero che anche noi siamo in grado di ordinare le nostre città, e non perché qualcuno ce lo impone, ma perché le amiamo a tal punto da non tollerare più di vederle allo sbando.




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mercoledì 12 febbraio 2020

All'inizio è sempre difficile; quando hai pochi anni di servizio vieni considerato un pinguino che deve solo imparare, una matricola silenziosa con l'obbligo di ascoltare ed eseguire.
Prima i giorni, poi i mesi, infine gli anni sfogliati sulle strade dei turni in quinta, nelle piazze dell'Ordine Pubblico e tra i fascicoli della cartacea burocrazia.
Da soldato ti ritrovi sceriffo, incantato a guardare una Lamborghini che speri arrivi anche per te, dopo tutte quelle che hanno regalato a chi non era capace neppure di guidare un motocarro.
Un anno fa ho cambiato registro decidendo di lasciare una strada invecchiata con me per venticinque anni; la sbarra si è alzata e mi sono ritrovato oltre un casello di un asfalto mai visto prima.
Un'incognita priva di certezze ma spinta dal coraggio di chi vive la consapevolezza che il rimettersi in discussione porta sempre a raccogliere la soddisfazione di non essersi sbagliati.
Grazie a chi mi ha salutato e a chi mi ha dato il benvenuto.
Grazie a chi ha cercato di trattenermi e a chi invece mi ha voluto fortemente.
Auguro a chi si sente stanco di guidare sempre sulla stessa strada di trovare spirito e intraprendenza per fermarsi e svoltare: ricominciare da zero vale quanto rinascere e non tutti se lo possono permettere.
Buon viaggio...




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Pep Guardiola ha da sempre raccontato che il talento non è un dono ma un processo, un apprendimento; non sta all'inizio, ma al termine della formazione e dell’allenamento.
Ciò che non si allena, si dimentica.
Proprio per questo, alla base del rendimento c’è l’allenamento, il lavoro duro.
Non tanto dal punto di vista quantitativo, ma da quello qualitativo.
E a proposito di questo aggiunge che è più importante il concetto interiore che l’aspetto fisico.

L’allenatore trasmette l’idea attraverso le parole, ma il giocatore l'assimila mediante la pratica reiterata, diretta e corretta.
I giocatori vengono convinti dai concetti tattici allenandosi.

Se un concetto tattico si apprende, si apprende solo giocando, perché il gioco è l’unica cosa reale.
Ho trovato questa sua riflessione molto interessante in quanto condivido l'idea che spesso non si tratta di ripetere meccanicamente delle azioni, ma di comprenderne la ratio.
L’allenamento consiste nel fatto che i giocatori prendano delle decisioni, ma talvolta questo non basta perché bisognerebbe anche viverle come esperienza.

Per apprendere bisogna provare, non basta esprimersi.
Per correggere davvero un difetto importante, devi averne sofferto le conseguenze, perché l'errore e la sconfitta sono grandi stimoli per la correzione e lo sviluppo di un concetto.
Adesso capite perché mi piace immaginare che in fin dei conti la nostra vita è solo una difficile ma emozionante partita di calcio?




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A chi di voi non è mai capitato di inserire una musicassetta della TDK dentro un radione degli anni '80?
Credo tutti, a parte i più giovani.
Quello che ricordo del mio TREVI erano i tasti con cui regolavo lo scorrere dei nastri.
C'era il Signor PLAY che avviava ogni emozione, coniugato con la Signora PAUSE che a richiesta le interrompeva.
I testimoni di questa coppia affiatata erano il cavaliere REW e e il conte FF, il passato certo e il futuro incognito, in quanto tutte le volte che li chiamavi in causa, non sapevi mai il punto preciso in cui avresti recuperato la canzone sospesa.
I terminali esterni di quello stereo erano l'EJECT e il REC, i bravi della musica promessa; l'uno ti apriva il mondo per estrarre quei sogni, l'altro pareva inutile e pericoloso, in quanto colorato rigorosamente di rosso.
Il REC dovevi abbracciarlo al Signor PLAY, e tutto sarebbe diventato matrimonio civile su cui registrare ogni sorta di vocale o musica.

A confondere le idee al passato e al futuro, invece, ci pensava Monsieur REVERSE ogni volta che veniva chiamato in causa.
Quando mi capita di rivedere quelle radio, sento che il rumore di quei tasti torna a farmi visita, come fossero i comandi di un tempo vissuto che non mi appartiene più, in cui tutto è stato riavvolto e riascoltato, sospeso e riavviato, espulso e rimesso in gioco.
Siamo musica che scorre sopra nastri smagnetizzati: non perdiamo tempo a riascoltarci, piuttosto registriamo pezzi nuovi capaci di emozionare ancora.




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martedì 11 febbraio 2020

Quanto è impattante una foto così, vero?
Con un bigliettone verde si potrebbero fare tante cose; certo, non voliamo con la fantasia, ma diverse colazioni al bar ce le garantirebbe.
Una paghetta al figlio maggiorenne, un deca di gasolio nel New Beetle o un gratta e vinci da cinque euro per tentare la fortuna.
Un pieno di benzina alla Vespa, qualche confezione di umido per ICE o una ricarica telefonica per Christian.
Con cento euro c'è chi riesce a sopravvivere per dieci giorni, chi invece li spende in un secondo.
Tutto dipende dal peso che ha quel biglietto, da come lo abbiamo custodito in tasca e da quanto abbiamo sudato per guadagnarlo.
Stamattina mi è capitato di trovarne uno a terra, piegato in quattro e bene in vista tra un'automobile parcheggiata e un marciapiede poco frequentato.
Lo raccolgo, e dopo essermi sincerato che non ero su scherzi a parte, ho gioito per l'accaduto senza cadere nel plateale.
Ero in compagnia di un collega che collega non è, di un amico che amico lo è diventato, di un marito che è anche padre, di un figlio che è anche fratello.
Ho pensato che tutte quelle belle cose che avrei potuto fare da solo, potevamo farle in due, dividendo equamente la sorte in percentuale identiche, così da poter gioire entrambi.
Meno colazioni, paghetta più bassa e serbatoi sopra la riserva; niente gratta e vinci, ICE affamato come prima ed invito per Christian a navigare di meno.
Dividere la fortuna rende più felice dell'ingordigia innaturale del non farlo; voi non immaginate quanto è stato bello sorridere con Max dentro la trasparenza della condivisione.
Non voleva accettare la sua fetta, rifiutando quel gesto apprezzato ma fuori luogo a suo dire.
È bastato chiedergli che cosa avrebbe fatto lui al posto mio.
Conoscevo la risposta, ed è per questo che dopo pochi minuti eravamo tutti e due un po' più ricchi.
Mi spiace per chi ha smarrito questa banconota, ma sono certo che prima o poi la vita gliela restituirà sotto forma di buona sorte.
Riguardo a noi, poveri Starsky e Hutch in pausa pranzo, un grattino lo abbiamo comprato: non siamo stati proprio in grado di resistere alla tentazione di quell'investimento.
Non abbiamo né perso né vinto, ma di sicuro la fiducia scambiata ci ha regalato un bel lingotto d'oro.




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Disegniamo a fatica i nostri ricordi, alternando l’impiego di matite colorate e gomme deformabili.
Li abbozziamo sopra fogli di carta bianca spesso inumiditi dalle emozioni, come fossero monumenti astratti che raccontano quello che custodiamo gelosamente nei cofanetti dei pensieri che li rievocano.
Nelle estati degli anni ‘80 quei graffiti avevano la forma di un treno bianco che viaggiava verso Lourdes.
Era trainato dall'entusiasmo dei volontari dell’A.M.A.S.I. di Salerno, un’Associazione 
Mariana che alimentava la motrice di quel serpentone di vetri e lamiere con sorrisi e speranze regalate a chi le occupava.
Noi partivamo da Potenza con una delegazione coordinata da zia Tata, la Mariele Ventre del nostro oratorio: mi chiamava “soldo di cacio” ed era lei ad organizzare l’aggregazione a Salerno insieme ai cugini campani.
Panzerotto, Zolletta, Spina, Mezzochilo, Felpa: eravamo tutti adolescenti desiderosi di fare del bene; partivamo carichi dell’arrogante presunzione di dover dare, ma tornavamo puntualmente schiaffeggiati dall'umiltà di chi invece ci aveva donato tanto.
I ritorni cadenzati a Lourdes equivalevano a un toccasana per le anime credenti e non credenti che viaggiavano dentro quelle carrozze, una sosta a tempo determinato per rifornire il serbatoio in riserva di un anno vissuto ad aspettarli.
Quel treno era un aereo sprovvisto di ali grazie al quale toccavamo il cielo senza mai accorgerci di avere decollato; riatterrare sbriciolava i pensieri che abbandonavamo in quota, eppure tutti riuscivamo a ricomporli una volta planati sui binari dell’ordinarietà.
In quegli stessi anni capitava di trascorrere coi miei cugini qualche settimana di vacanza a Roccanova, un paesino dell’entroterra lucano a forma di presepe dentro cui le statuine rimangono sempre immobili a godersi la quiete del tempo che trascorre troppo lentamente; tra i giochi più interessanti che ci capitava di fare insieme, c’era quello pericoloso delle gare in discesa sulla rampa cementata che incorniciava il perimetro della vecchia casa di zia Adriana.
Ci lanciavamo seduti sopra piccole carrozze di legno a forma di fuoriserie costruite dai “vecchi” con scarti di pedane malandate e cuscinetti di recupero riciclati che ricordavano gli stessi vagoni stracolmi di aspettative con cui volavo a Lourdes insieme ai miei compagni.
Eravamo un po’ temerari e un po’ pellegrini, completamente persi dentro il trofeo dell’imprudenza di chi non era ancora in grado di riconoscere un pericolo.
Tagliavamo il traguardo quasi sempre tutti insieme, davanti alla piscina abbandonata che ci aspettava a valle e, alla mia Ferrari, puntualmente, l’impianto frenante non funzionava mai.
#unanottealcentralino




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Amici della passione di fare le cose: ben ritrovati.
Ieri vi sarete chiesti che fine avesse fatto Meraklìdikos, vero?
Per la prima volta dopo un mese il blog non ha sfornato nulla; di domenica poi, il giorno in cui le visualizzazioni raggiungono sempre i picchi più alti.
Potrei giustificare la mia assenza con una qualsiasi scusa banale, ma ovviamente non lo farò.

Semplicemente non è accaduto nulla di tanto importante da raccontare.
Vivere persi dentro il Meraklìs della quotidianità, può comportare imprevisti trascorsi al Pronto Soccorso per garantire  il recupero di un dito contuso a un figlio, oppure il piacere di vivere un pomeriggio lontano dalla oramai silenziosa città di Sanremo o, meglio ancora, rilassarsi alla finestra per osservare il mondo una volta tanto senza giudicarlo.
Ciò che rimane di una domenica di febbraio come tante altre è il sorriso di chi merita di sorridere, il giusto riconoscimento a chi è stato premiato come vincitore e il silenzio della non condivisione di pensieri archiviati.
Christian è felice...
Diodato ha vinto...
Meraklìdikos è tornato...
La felicità di una vittoria prevede sempre un ritorno, una conferma, una rivincita.
Per ogni uomo che gioisce ce n'è uno che si rattrista, come quando per ogni vincitore viene individuato anche un perdente; ma cosa si oppone a un sognatore che da un balcone chiude gli occhi per godersi il panorama immaginandolo?
Un uomo sveglio che ha voglia di aprire gli occhi e sfamarsi di realismo, snobbando ogni favola condita da un finale emozionante.
Chissà perché certe storie capita di viverle sempre di domenica pomeriggio, nel giorno di riposo in cui tutti o quasi tutti cerchiamo di portare i nostri corpi e le nostre menti un po' in vacanza: q
ualcuno al mattino, qualcuno al pomeriggio, tutti sbracati sui divani a scrivere o a leggere la cronaca di una settimana intera. 
Grazie Christian per la tua contusione...
Grazie Diodato per la tua affermazione...
Grazie Meraklìdikos per la tua riflessione...
In fin dei conti tutti siamo contusi o affermati, ma pur sempre vogliosi di riflettere.




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domenica 9 febbraio 2020

Come riusciremo ad assaporare il vero senso della vita se a priori escluderemo dai rischi che saremo disposti a correre quello di essere in grado di atterrare senza farci del male?
A cosa sarà servito volare se raggiunto il cielo non saremo più in grado di goderci il panorama sottostante?
E quanto farà paura dover rimanere sospesi in volo facendo finta di non avere più le ali per potere ritornare al nostro nido?
#unanottealcentralino




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Nel 1988 Freddie Mercury ci consegnava questo capolavoro intitolato "Barcelona":
"Ho fatto questo sogno perfetto che mi ha avvolto.
In questo sogno c'eravamo io e te: magari ora fossi qui.
Voglio che tutto il mondo lo veda.
Un istinto mi guidava, una sensazione miracolosa era la mia guida ed ispirazione.

Adesso il mio sogno si sta lentamente avverando; il vento è una gentile brezza che mi parla di te.
Le campane stanno suonando, il canto vola; ci stanno richiamando insieme guidandoci per sempre.
Vorrei che il mio sogno non svanisse mai: 
Barcellona!
Fu la prima volta che ci incontrammo: come potrei dimenticare il momento in cui entrasti nella stanza e mi togliesti il fiato?
La musica vibrò e ci unì, e se Dio vorrà ci incontreremo di nuovo un giorno: Barcellona!
Che le canzoni inizino: lasciatele nascere e che la musica suoni.

Fate cantare ogni voce.
Nasce un grande amore.
Iniziano i festeggiamenti.
Vieni da me e urla, grida, diventa viva e scuotiamo le fondamenta dal cielo scuotendo tutte le nostre vite: 
Barcellona!
Un orizzonte così bello, come un gioiello al sole.
Per te sarò gabbiano del tuo bel mare: Barcellona!
Apri le tue porte al mondo se Dio vorrà, se Dio vorrà, se Dio vorrà saremo amici fino alla fine: Barcellona!".
Oggi Sanremo conclude la sua funzione così:
"Sia Diodato il turbamento: sempre sia Diodato!".
Capite perché Barcellona e Sanremo hanno in comune solo il mare?




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sabato 8 febbraio 2020

La Cassazione ha deciso: ci sarà un appello bis per il tuo omicidio.
Secondo la sentenza del primo appello, sei morto a causa dei ritardi nei soccorsi.
Lo ha detto il Procuratore Generale Elisabetta Ceniccola nella sua requisitoria, davanti alla prima sezione penale di Roma che doveva decidere se riaprire il processo per la tua morte.
Voglio tralasciare per scelta le vicissitudini che tutte le TV e i giornali hanno raccontato documentando la tua agonia, ma tengo molto ad esprimere un parere indirizzato a chi ti faceva compagnia quella sera.
Ma davvero ti hanno lasciato morire così?
Davvero esistono uomini incapaci di riconoscere una fatalità non voluta per poi non essere in grado di provare a risolverla senza combinare danni più grandi?
Davvero fra tutte le comparse di quella serata non avevi vicino un cervello funzionante in grado di non pensare alle conseguenze di uno sparo partito per errore?
Davvero non sono stati in grado di attivare tutte le dovute forme di soccorso immediato per aiutarti, senza accorgersi che ci stavi lasciando le penne?
Quando osservo il dolore stampato negli occhi dei tuoi genitori, mi chiedo come possano riuscire a continuare a vivere.
Quando invece vedo l'idiozia timorosa di tutti gli imputati appartenenti alla famiglia di Antonio Ciontoli, smetto di farmi domande e provo solo tanta rabbia.
Un padre e una madre cercano di salvare la faccia raccontando bugie.
Un altro padre e un'altra madre, invece, provano a sopravvivere andando a trovare il figlio al cimitero anche quando è chiuso.
Già, lo ha dichiarato ieri la tua dolce mamma, l'hai sentita?
Ha detto che sia lei che tuo papà hanno imparato a riconoscere dove riposi e anche stasera riusciranno a vederti dall'esterno del cimitero, quando il cancello sarà ormai chiuso.
Verranno ancora a trovarti e ti racconteranno che la verità è sempre più vicina.
Nulla di tutto ciò dovrebbe mai accadere; quando la morte è inaspettata, disegna prima e ferisce dopo.
Nessuna terapia allevia il dolore che provoca, ma immaginare che il tuo strazio poteva essere evitato a discapito dell'egoismo di un uomo, aggrava ogni recupero psicofisico smorzando il doveroso bisogno di accettazione.
Si vergognino i tuoi assassini.
Avranno modo di curare la tua ferita e di medicare quella dei tuoi genitori, riconoscendo al mondo i loro errori.
C'è un tempo per il timore ed uno per il coraggio: tua mamma ha mostrato di averne, tuo padre forse un po' meno.
Mi rattrista vederlo così; sono padre anch'io come lo era lui, e i suoi silenzi sono ciò che mi rammarica più di ogni altra cosa.
Sei partito per un viaggio senza ritorno: abbraccialo ogni volta che ne avrai voglia, nei sogni, nei suoi ricordi dolorosi, nelle sue abitudini stravolte.
Non essere tu a temere il peggio; altri dovranno implorare di spegnere le fiamme che consumeranno i corpi dei tuoi assassini.
Per l'anima tua e quella dei tuoi genitori, un giorno tutto diventerà paradiso, perché sia te che loro ve lo siete già guadagnato.
Ciao Marco...




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Sabato mattina: sono ancora a letto dopo una settimana di risvegli alle 05:50 e c'è un silenzio che non ricordavo di aver mai sentito prima.
Lo avete pensato, vero?
Neanche il tempo di terminare di leggere il periodo e la vostra mente vi ha portato all'affermazione che ho scritto: "Sentire il silenzio".
Quante volte ci siamo persi dentro questa frase, presi dal cercare le differenze tra il sentire e l'ascoltare, magari unite alla ricerca dell'osservare piuttosto che del vedere.
Stamattina non ci sono macchine a graffiare la mia levataccia, tutto tace.
Anche in casa sembra esserci uno strano mutismo; Christian dorme ancora, Eleonora è già uscita, ICE non miagola per niente.
Abbraccio questo fine settimana pensando al blog, a cosa poter augurare a chi cercherà Meraklìdikos sul web per interesse, curiosità, amicizia o invidia.
Scelgo per il post di oggi una foto che mi ricorda un'invenzione avuta la scorsa estate a Maratea, in una serata di settembre in cui provai le stesse identiche sensazioni passeggiando di sera sul monte San Biagio.

ll tramonto di allora come l'alba di oggi, uniti da una notte stracolma di sogni, qualcuno da raccontare, altri da custodire.
Mi venne in mente di appoggiare il telefono a terra; con un un'autoscatto tarato 5 secondi, provai a prendere le mani della statua del Cristo Redentore che sovrasta quel tratto di costa lucana affacciato sul Tirreno .
Immaginavo di dover ripetere quell'operazione più volte; non pensavo certo di riuscirci al primo tentativo, eppure quello che vedete fu il risultato ottenuto nell'immediato.
Torno al mio computer e rileggo il mio stato d'animo, abbracciato da quel silenzio raro che stamattina ha incorniciato il mio risveglio.
Qualche macchina comincia a graffiarlo e tutto sta ritornando caos, confusione, distrazione.
Ci vorrà veramente poco per perdersi nell'ordinario e tornare a desiderare quello che posso avere tra le braccia ancora per poco.
Credo che anche oggi i miei 5 secondi saranno sufficienti ad immortalare il ricordo di questa mattina al primo scatto: quello che ne avanzerà sarà tutto tempo utile per continuare a sentire il mio silenzio ogni volta che ricorderò questo splendido inizio di fine settimana.





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venerdì 7 febbraio 2020

L'esultanza è figlia dell'ottimismo.
Si esulta solo dopo aver ottenuto un risultato tanto ambito, raggiunto col sacrificio e la determinazione che appartiene solo ai "grandi".
Il direttore fischia e tutto diventa movimento, tattica, cambio.
La battaglia ammonisce i cattivi e premia i buoni: il risultato umilia i perdenti ed inorgoglisce i vincitori.
La palla entra in porta e il mondo gioisce sempre per metà.
L'unico disinteressato alle gioie e ai dolori della tribuna, è l'artefice dell'obiettivo raggiunto.
I riflettori si spengono, le docce si chiudono e le distinte si archiviano, in attesa che la carta stampata possa ricordare per sempre che anche noi ci siamo giocati la nostra partita. 




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Quando perdiamo i binari che ogni giorno ci impongono le traiettorie da disegnare, diventa impossibile proseguire i nostri viaggi in direzione delle stazioni che abbiamo deciso di raggiungere.
Non potremo più visitare le città che ci stavano aspettando perché saremo costretti a rimanere immobili in attesa di soccorsi.
Ridurre la velocità può limitare i danni, ma ogni deragliamento comporta vittime e feriti, soccorsi e processi, domande e risposte.
Le nostre menti sono vagoni immobili trainati da motrici veloci: sta a noi regolare i giusti scambi per evitare disastri.




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Buonasera a tutti.
Lasciate che mi presenti; mi chiamo Paolo, ho 22 anni e combatto contro la SLA.
Ringrazio Sanremo, ringrazio Amadeus per avermi permesso di venire qui e portare il mio messaggio con questa voce un po' particolare. 
Immaginate che la vostra vita venga completamente stravolta, che il vostro corpo non risponda più ai comandi.
In Italia siamo oltre seimila ad aver provato queste sensazioni.
La persona che mi sta vicino si chiama Rosario, è mio fratello, ed è il vero eroe di questa storia.
Al momento della diagnosi ha deciso di lasciare tutto per diventare le mie gambe e le mie braccia. 
Lui e la mia splendida famiglia mi hanno insegnato la parola sacrificio.
Grazie a loro ho scoperto di avere una forza interiore che non sapevo di avere.
Grazie a questa forza, la SLA non mi ha impedito di diventare ciò che avevo in mente.
La mia non è una storia di un ragazzo sfortunato.
Quando vi dicono che i sogni non si possono realizzare, continuate per la vostra strada e non arrendetevi.
Poco più di un mese fa ho affrontato una crisi respiratoria: non fosse stato per i medici non sarei qui. 
Vi chiedo: avete usato il vostro tempo nel migliore dei modi?
Malattie come la mia colpiscono al di là del ceto sociale e dei progetti, perciò nel vostro piccolo fate sempre qualcosa per il prossimo.
Ascoltate la mia canzone e fatela sentire a tutti quei sentieri che lottano per vivere.

Sanremo 2020, Paolo Palumbo




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giovedì 6 febbraio 2020

Nel restauro è nascosta la più grande conferma che tutto può rinascere.
Tornare a vivere in epoche diverse da quelle delle nostre immatricolazioni, trasforma in
ricordi i giorni dentro cui siamo stati obbligati a rispettare rodaggi e controlli.
L'anima può essere sverniciata, privata della ruggine e sabbiata, in attesa di essere
colorata a nostro piacimento, ma il corpo invecchia e non concede alcuna sosta autorizzata.
Smettiamo di sognare una targa d'oro da bullonare al telaio, ma sfruttiamo il trascorrere del
tempo senza prendere troppa acqua: passeremo ogni revisione senza problemi.
CIAO




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Un giorno papà mi raccontò che il suo barbiere mi vide giocare a calcio e gli confidò di essersi meravigliato per quanto fossi bravo; il pallone che mi fu regalato in quegli anni, però, aveva la forma di una fisarmonica da suonare e non da calciare, perché in casa mia la musica era molto più importante di quell'inutile sport che però io amavo alla follia.
Mi comprò un paio di scarpe marroni, ovviamente di un numero più grande del mio piede per il timore che crescesse troppo in fretta, simili a quelle che andavano di moda in quegli anni.
Avevano fori laterali e lacci di cuoio che alternativamente si infilavano a serpentina.
Quelle originali le aveva prima disegnate e poi prodotte la Timberland, ma a me era toccata la loro migliore imitazione, quella più riuscita dell’intero secolo: le Lumberjack.

La acquistammo da “Ciro Calzature”, un napoletano DOC che con le scarpe costruì la sua fortuna nel capoluogo lucano in quegli anni.
Papà mi vietò di giocarci a calcio in oratorio perché sarebbero dovute durare per un periodo lungo, talmente lungo da non potere essere svelato nel rispetto paterno.
Decisi di guardare dal bordo del campo le battaglie dei miei compagni di giochi; fino al giorno prima dell’acquisto mi spaccavo anch'io con loro per interi pomeriggi sull'asfalto di quel cortile, ma da lì in avanti le cose cambiarono.

Vista la mia delicata condizione, tutti insieme decisero che sarei stato il prescelto
a calciare i rigori, sia per una squadra che per l’altra.
Seduto su quella panchina da parco giochi, non aspettavo che il rumore di qualche stecca data da difensore assassino nelle due aree di rigore, per poter entrare in campo e calciare col piattone delle mie Lumberjack marroni nell'
angolino basso di quelle porte segnate da due sassi al posto dei pali.

La piazzavo rasoterra perché, semmai avessi deciso di alzarla, sarebbero nate le solite discussioni dovute all'era dentro, all'era fuori, oppure all'era troppo alta, a causa di una maledetta traversa fantasma che non c’era mai.
Ero un rigorista d’oro, non ne sbagliavo uno e, alla gioia di concludere a rete, preferivo la successiva esultanza che ne scaturiva; il mio viaggio di ritorno verso il centrocampo era sempre condito da un ottimismo che marcava il tempo e garantiva la speranza di segnare ancora.
Le scarpe tornavano a casa la sera intatte, superando l’inevitabile ispezione ed il rigido controllo di usura e qualità eseguito minuziosamente dal boss delle calzature.
Mi addormentavo felice sognando le stecche del giorno dopo perché, nonostante la mia giovane vita calcistica fosse reclusa in un’area ristretta, riusciva ad emozionarmi quotidianamente come
se stessi giocando i miei mondiali.

#unanottealcentralino




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