venerdì 18 dicembre 2020

La storia insegna agli uomini solo se gli uomini la studiano veramente, un po' come quando eravamo più giovani e frequentavamo la scuola.
Il professore andava alla lavagna e col gessetto cominciava a disegnare figure astratte che capiva solo lui o, peggio ancora, sviluppava formule matematiche incomprensibili ed interminabili.
Tutto sembrava inutile e superfluo, fino a quando non tornavamo a casa a studiarle per riuscire finalmente a concluderle.
Magari capitava di farle talmente nostre che il giorno dopo speravamo persino di essere interrogati.
E oggi? Chi di noi è veramente pronto a dare le risposte giuste a ciò che sta capitando?
Quanti e quali sono i libri di storia da studiare, i disegni da interpretare e le formule da capire?
Siamo aule di ebeti incantati dagli eventi, reclusi in classi chiuse a chiave che non ci permettono di tornare a casa, tutti in balia di saccenti oratori che parlano, parlano, parlano e parlano.
Ci addormentiamo sui banchi senza rotelle, appoggiati con le nostre teste pensierose sulle braccia distese trasformate in cuscini.
Ci risvegliamo infreddoliti e immobili sperando che la campanella anticipi qualche materia nuova da studiare, ma la musica è sempre la stessa: numeri che aumentano, colori che cambiano e voti che bocciano.
Siamo proprio una classe di somari, incapaci di reagire, rassegnati al palinsesto e sedati dall'ignoranza.
Ci hanno fatto dimenticare quanto era bello vivere, quanto era dolce e gustoso passeggiare e quanto era salutare alimentare le menti rispettando la regolarità dei nostri tempi.
Oggi viviamo aspettando l'ora d'aria, come fossimo detenuti, reclusi e rei per non aver rispettato le leggi imposte da chi la storia non la scriverà mai.
Non siamo più in grado di riconoscere la bellezza di un'alba, l'emozione di un tramonto, il terapeutico silenzio delle notti e l'accattivante frastuono dell'ordinarietà del giorno.
Mi piacerebbe che tutti fossimo già arrivati al capolinea per scendere dal tram del pessimismo.
Ricominciare a camminare verso le nostre piazze vissute, quelle piene di disegni astratti trasformati in abbracci, liberi da queste sporche ma obbligatorie mascherine che ostruiscono i sapori più buoni.
Sono stanco, stufo, esausto.
Vorrei reggere più di quanto non abbia fatto finora, ma sogno l'estate, la fine della scuola, una maturità sociale che però vedo ancora lontana.
Ho tanto da vivere e a questo punto è l'unica cosa che veramente desidero.
Il destino mi interroghi pure: sono pronto ad andare alla lavagna per guadagnarmi almeno la sufficienza.




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domenica 6 dicembre 2020

Per questa volta voglio chiamarti Alice: quel formale "Dottoressa Rolando" mi sta proprio stretto.
Voglio darti del tu, disinteressandomi di ogni protocollo imposto dalle regole.
Questa sì che sarebbe una scelta pericolosa, un'iniziativa da giustificare entro dieci giorni dalla notifica.
Rischierei un ammonimento orale o, peggio ancora, un richiamo scritto.
Una pena pecuniaria, una sospensione, una destituzione.
Dici di no?
Fidati Alice: a questo punto tutto è possibile.
Per fortuna esiste ancora una lama sottile messa lì, arrugginita ma ancora efficace a dividere una sanzione disciplinare da un avviso di garanzia, un filo radente che taglia in due il legale e l'illegale, il previsto e l'imprevisto, il fuoco dell'infamia inaspettata spento dall'acqua del riscontro oggettivo.
Questo siamo, cara Alice.
Viviamo tutti nel paese delle meraviglie.
Tu non sei l'unica residente di questo mondo ingiusto, figlio della legalità e orfano della magistratura.
Siamo tutti cugini fedeli dei codici ma nemici incolpevoli dei preposti al rispetto che gli si deve.
Ricordo il nostro pellegrinaggio alla Sagra di San Michele, l'arcangelo che dovrebbe proteggerci dal male.
Quell'adunata notturna al Reparto Mobile, il nostro cappellano, pochi temerari e via, a piedi fino in cima al paradiso per chiedere al nostro protettore di difenderci sempre, non solo dai coltelli affilati, dalle bottiglie rotte o dai proiettili vaganti, ma anche da notifiche sconce, da avvisi tutt'altro che garantisti e da citazioni prive di significato.
La storia si ripete, libri nati al contrario, prima letti e poi scritti.
Quando finiranno di volerci male?
Tutti abbiamo goduto dei frutti raccolti a seguito del tuo operato, sempre volto a salvaguardare la legalità di una città bisognosa di pulizia.
Minuzioso ed attento, sempre pianificato nel rispetto delle regole e con la giusta parsimonia.
Fidarsi dei propri uomini è un dovere: avere la certezza di aver fatto bene non lo è.
Quante grosse responsabilità bisogna considerare quando si decide di garantire la sicurezza, e quanti campanelli d'allarme bisognerebbe sentire suonare prima che tutta l'orchestra componga un classico della nostra storia.
Sono questi i momenti dentro cui bisognerebbe perdersi nell'orgoglio dell'appartenenza, e non nelle sfilate annuali delle Feste della Polizia, quelle utili solamente a farsi appuntare una medaglia o un nastrino sulla divisa.
Forse quando lo capiremo sarà troppo tardi, ed è per questo che urge ricordarlo subito.
Alice, io sto con te, e con me ci sono tanti colleghi giusti che fino in fondo hanno capito come gira questo nostro paese delle meraviglie, che purtroppo oggi ti tocca rivisitare.
Non è solo il tuo, ma, come detto, è di tutti noi uomini in divisa, e in momenti come questo diventa veramente difficile volergli bene.
Sono certo che presto arriverà di nuovo un pullman dell'amministrazione a prenderci per riportarci a casa, e dopo tanta fatica tornerà per tutti il meritato riposo.
Il tempo racconti il miglior finale, uno di quelli emozionanti dentro cui i giusti sorridino e i farabutti vengano reclusi.
Alice: io sto con te.




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