martedì 12 maggio 2020

Se Silvia fosse partita col burqa e fosse tornata vestita da suora, nessuno avrebbe fiatato.
Si sarebbero trovati tutti d'accordo ad investire i quattro milioni di euro che sono stati spesi per recuperarla.
Quanta ipocrisia conferma chi siamo.
Tante e diverse sono state le occasioni in cui ho raccontato il mio pensiero a proposito delle religioni e al potenziale che hanno nel riuscire a trasformare tanti uomini in bestie feroci.
Giustificare o condannare le mille esternazioni del mondo giornalistico e politico che ieri hanno riempito i quotidiani, sarebbe quindi una perdita di tempo del tutto inutile e noiosa.
Le solite guerre di pensiero; liberisti contro garantisti, radicali contro moderati, estremisti e nostalgici contro Marco Travaglio e Lucia Annunziata.
Salvini richiama l'attenzione sul funerale di Stato di Pasquale, l'ultimo saluto a un ragazzo che come tanti ha perso la vita nel compiere il proprio dovere, privato completamente della presenza di autorità istituzionali.
Silvana De Mari ce l'ha con chi ancora spende soldi per andare a recuperare "sciaquine che vanno a farsi la vacanza in Africa".
Fabio Fazio dice che non esistono i clandestini e che il mondo dovrebbe sentirsi libero di essere esplorato e vissuto senza confini.
La Meloni ricorda che la prima frase pronunciata da Greta e Vanessa quando vennero liberate nel Gennaio del 2015 fu "torneremo presto in Africa": Silvia Romano ci ha messo qualche ora in più di loro per ripeterlo, ma l'ha fatto anche lei.
L'elenco delle riflessioni urlate a riguardo potrebbe continuare, ma mi fermerei per richiamare l'attenzione sul fatto che chiunque ha fatto bene ad esternare il diritto delle proprie conclusioni davanti a quel vestito da carnevale scortato dal Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri.
Quel costume lo abbiamo strapagato tutti, e poiché non è il primo che acquistiamo a fondo perduto, forse è anche giusto che qualcuno sia un pò incazzato.
Aveva ragione Leonardo Sciascia quando scriveva nel suo splendido romanzo intitolato "A ciascuno il suo" che il morto è morto quindi è meglio dare aiuto al vivo, ma chi stabilisce chi è veramente morto e chi invece merita di essere aiutato perché è ancora vivo?
Questa è la mia conclusione, una delle tante, simile alle migliaia pubblicizzate e diversa, magari, dalle migliaia rimaste in silenzio.
Una vita merita sempre di essere salvata; una figlia merita sempre di riabbracciare la sua mamma e una mamma merita sempre di riabbracciare sua figlia, ma esistono modi e tempi per custodire nella segretezza le emozioni che comportano certe urgenti operazioni.
La politica, di destra e di sinistra, sfoggia il conseguimento di certi risultati per farsi bella, sempre, senza mai pensare che esiste una fetta enorme di volontariato nel nostro paese fatta di povertà, di esasperazione, di morte.
Non tutti hanno la capacità di giustificare la diplomazia internazionale, di ponderare  il peso importante del lavoro dei servizi segreti o di accettare che certe operazioni concludono un lavoro estenuante frutto di investimenti assurdi, ma ciò che rimane stampato nell'animo ferito di chi sta perdendo il lavoro e vedendo andare a farsi fottere anni di sacrifici, sono i quattro milioni di euro pagati, in giorni come questi, per riportare a casa quella ragazza.
Bisognerebbe forse rileggere certe storie fintamente romanzate, affinché non abbiano più a ripetersi.
Parliamo di queste partenze, delle autorizzazioni rilasciate dalle ambasciate che prima autorizzano chiunque al volontariato e, a tempo debito, incassano la tangente del rilascio concordato.
Quanti partirebbero ancora per fare un selfie come questo senza avere la garanzia di tornare a casa grazie alla copertura di uno Stato che lascia morire chi lavora seriamente e non arriva a fine mese?
Uno Stato che però garantisce la conversione, il recupero ed il ritorno nella terra promessa di studenti e studentesse che credono di realizzare i propri sogni lontano da proprio paese che fino al giorno prima hanno saputo solo disprezzare?
Bentornata a Silvia, non è lei il problema, perché come lei ne esistono tante che continueranno a partire a costo zero e a tornare con gli interessi.
Il problema non è la chiesa o l'islam, non è un colletto bianco o il jilbab, non sono i quattro milioni di euro pagati ai terroristi o l'elemosina di seicento euro data ai moribondi.
Il problema vero lo rappresenta chi con la mascherina tricolore da destra a sinistra continua a farsi pubblicità sul palco della comunicazione, specie in un momento storico come questo in cui tutto è in terapia intensiva e corre il rischio di morire.
Se è vero che il morto è morto e chi è vivo merita di essere aiutato, ricordiamoci anche di chi cerca a stento di rimanere in piedi, forse perché consapevole che qualcosa o qualcuno gli sta scavando la fossa col badile delle sue bugie.




meraklidikos@gmail.com

domenica 10 maggio 2020

La pelle di una mamma non è mai come la pelle di una qualsiasi altra donna.
Accarezzarla mentre la si guarda negli occhi è l'emozione più grande riservata agli uomini a cui è stata data l'opportunità  di sperimentarlo.
La mamma ha un profumo mai sentito, è un'essenza che solo pochi olfatti possono riconoscere.
Non è limone, non è lavanda, non è cannella, non è vaniglia.
Il profumo di una mamma è fragranza pregiata riservata esclusivamente ai propri figli.
Le braccia di una mamma non sono come le braccia delle nonne, delle zie, degli amori trovati e abbandonati.
Sono braccia poderose in grado di scoprire tutti i segreti, cariche di una potenza capace di alzare ogni peso inaspettato e forti a tal punto da riuscire a scacciare brutti sentori e inaspettati presentimenti.
Le gambe di una mamma non smettono mai di correre; possono essere claudicanti e segnate dal tempo, ma corrono, si piegano, si rialzano e ripartono, per venirci incontro o per allontanarsi, sempre e solo compiendo la volontà di noi figli, registi e scenografi delle commedie che imponiamo loro di recitare.
Pelle...
Profumo...
Braccia...
Gambe...
Provate a chiedere a chi la mamma non ce l'ha più cosa desidererebbe rivivere tutte le volte che la sente troppo lontana.
Accarezzare la sua pelle, sentire il suo profumo, fare il pane e la pasta con la ciccia delle sue braccia o sedersi e abbracciarla stando sulle sue gambe stanche.
Una mamma non muore mai, la si sogna e la si incontra, la si vive in ogni ricordo senza mai smettere di desiderarla.
Tutto questo intenso e misterioso vivere, diventa risposta inesorabile per chi ancora non è stato in grado di sincerarlo.
Ogni mamma è amore, ma è l'amore ad essere rappresentato dall'essere mamma.
Qualcuno diceva che l'amore di una mamma è cieco, e se è vero che Dio è amore e l'amore è cieco, vorrà dire che la mamma è Dio.
E allora che l'amore sia manna per tutti.
Che ogni figlio innamorato come me della sua possa continuare a sorridere per averla così bella e che ogni mamma volenterosa si goda la sua festa deliziando ancora una volta mariti, figli e nipoti di quella che rimarrà per sempre la sua dote migliore: cucinare!
Auguroni mà...




meraklidikos@gmail.com

sabato 9 maggio 2020

Buongiorno amici di Meraklìdikos e felice weekend a tutti voi.
È passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrati a suon di botta e risposta sul blog.
Nel frattempo sono successe molte cose, forse troppe, talmente tante che è stato sempre più difficile scegliere un un argomento per cui scrivervi
Qualcuno è stato contento di non leggere, qualcun altro dispiaciuto, a tal punto da chiedermi il perché di questo silenzio.
C'è chi è riuscito a distrarsi per pochi minuti, chi invece a preoccuparsi per ore; peggio ancora chi si è sentito offeso o addirittura prima ferito e poi abbandonato.
La verità è che scrivere è un po' come leggere.
Ci sono giorni in cui potremmo divorare un libro in poche ore, altri in cui non lo terremmo in mano neanche per tutto l'oro del mondo.
Ci sono giorni in cui potremmo irrigare campi interi con le parole, bagnare come un fiume in piena ogni spazio bianco dei fogli di carta che ci capita di riempire.
Certo è strana questa passione della lettura, ma forse lo è ancor di più quella della scrittura.
L'ultimo nostro arrivederci risale al giorno in cui la bandiera della liberazione italiana sventolava impetuosa.
Oggi non c'è più vento.
Tutto tace dietro il mutismo delle mascherine che indossiamo, tutto spaventa nelle passeggiate rubate per riassaporare un pizzico di libertà, tutto trema nel riconoscerci zombie ormai incapaci di capire dove stiamo andando.
Pasquale è morto mentre cercava di garantire alle carceri svuotate un bandito.
Hanno celebrato il suo funerale ieri, nell'indifferenza spettrale di un paese abitato addirittura da chi ha gioito per la sua morte.
Anche i medici in corsia continuano ad ammalarsi prima e a morire dopo; sono diventati numeri, statistica, diagrammi simili a quelli colorati che quotidianamente studiamo per dare una risposta a chi giustamente ci chiede di comportarci bene.
Siamo schiavi di fasi da sperimentare, lavoratori agili bravi solo a tenere acceso il cellulare e robot spenti in modalità smart working vogliosi di arrivare quanto prima alla pausa pranzo.
Abbiamo imparato il significato della parola lockdown senza andare a scuola d'inglese, ci siamo specializzati a rivendicare i nostri diritti davanti ad autocertificazioni non compilate e sottoscritte e abbiamo riempito le memorie dei nostri smartphone coi video scaricati da WhatsApp che ogni giorno ci hanno fatto ridere e piangere.
Non ho mai visto i cestini solidali così pieni; se dovessi individuare un'immagine che rappresenti i giorni che stiamo vivendo, la ricercherei dentro quella cartella.
I carrelli famelici di chi va a fare la spesa tre volte al giorno sono in coda ovunque.
Li accompagnano volti attenti a dispensare sorrisi speranzosi che non si vedono perché coperti, e sguardi preoccupati che si intravedono perché scoperti.
Domiciliari ai criminali e condanne a morte agli imprenditori.
Telegiornali complicati da guardare che sembrano registrati e riproposti uguali al giorno prima; quotidiani ristampati difficili da sfogliare senza trovarci dentro ciò che avevamo già letto.
Decessi e guarigioni, ricoveri e dimissioni,  soldi stanziati e mai arrivati, aperture e chiusure, aperitivi abusivi sui navigli e plexiglass sperimentali nei ristoranti.
State a casa...
Potete uscire...
Meglio che state a casa...
Adesso potete uscire...
Fase 1 - Fase 2 - Fase 3
La maturità senza scritti, il calcio a porte chiuse, lo spettacolo senza pubblico.
La satira deludente, i confronti serali mortificanti, gli speciali notturni devastanti.
Sapete che una delle più belle trilogie che ho letto l'ha scritta Oriana Fallaci?
Certo, il soggetto contenuto all'interno di quelle pagine tratta tutt'altro, ma i tre titoli che la compongono sembrano appartenere al quadro che la storia sta disegnando in questi mesi.
La rabbia e l'orgoglio, la nostra Fase 1.
La forza della ragione, la nostra Fase 2.
L'apocalisse, la nostra Fase 3.
Pazzesco, vero?
Purtroppo o per fortuna oggi le torri gemelle dell'onnipotenza dell'uomo le ha tirate giù uno sporco virus.
Ha fatto più vittime dell'Islam perché non solo ha sgozzato degli innocenti, ma ha steso al tappeto anche la speranza di chi è rimasto in vita.
Ci dicono che la Fase 1 è finita, che dobbiamo smettere di parlare di rabbia e tirar fuori l'orgoglio.
Ci hanno catapultati nella Fase 2, quella dentro cui la forza della ragione dovrebbe vincere sopra ogni assurdo azzardo.
Alla Fase 3 speriamo di non arrivarci mai, perché se questa non fosse una prova generale dell'Apocalisse, sarei veramente preoccupato di conoscere quella vera.
Nel frattempo spero che anche oggi ci sia un po' di sole ad illuminare il mio balcone, perché è nell'ombra che vedo proiettata sulle sue pareti che riesco sempre a riconoscere il tramonto.




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