lunedì 30 marzo 2020

Sapete qual è stata la più grande bugia che ci hanno raccontato dal dopoguerra ad oggi?
Una favola chiamata EUROPA.
Eravamo tutti a bocca aperta, incantati davanti ai cantastorie tedeschi che, pur non avendo mai pagato alcun debito di guerra, ci accarezzavano e ci coccolavano elogiando la pizza e gli spaghetti, armati di cetrioli e siluri pronti ad essere serviti come subdoli condimenti e bombardamenti economici.
Eccola qua l'EUROPA degli europeisti, quella che molti di voi ancora vogliono, quella che molti di voi ancora aspettano, quella che molti di voi ancora sognano.
Siete ammalati asintomatici di una epidemia economica che sta portando tutti, anti-europeisti compresi, alla disfatta totale, senza neppure passare dalla terapia intensiva.
Ci ritrovrremo seppelliti dentro Campi Santi vigilati dai tedeschi, e questo non sarà che un ritorno alla storia.
In Germania i lager sono sempre piaciuti, di concentramento o di distrazione, umana o economica, letale o terapeutica.
Parole forti? Non credo.
Non lo dico io, lo ha raccontato la storia e lo sta confermando la geografia.
Siete gli unici a non aver capito che se l'Italia continua a credere che per sopravvivere ha bisogno di questa EUROPA, l'EUROPA continuerà a deportare l'economia dei paesi orfani di questo complotto lontano da qui.
Ci ritroveremo allettati senza assistenza e moriremo ascoltando i festeggiamenti coi prosìt dei boccali di birra di quelli che ancora chiamate cugini.
Questo laboratorio infetto da corone al femminile, dovrà per forza insegnarvi qualcosa, e se neanche questa volta sarete in grado di far tesoro di quanto accadrà, non vi resterà che tenervi la vostra finta EUROPA.
Una cosa, però, da voi possiamo ancora pretenderla, e cioè quella che dovrete rimanere una volta tanto in silenzio, rispettando chi, al posto vostro, avrebbe deciso al contrario e volentieri di abbandonare questa nave guidata da una Germania ancora in debito col mondo intero.




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sabato 28 marzo 2020

Dall'altra parte delle sbarre ci sono i miei figli, ma a causa di un gioco imprevisto e contagioso della natura, questa volta sono loro ad essere reclusi, pur essendo innocenti.
Sono detenuti in regime di semilibertà da un mese ormai, costretti ("giustamente") a stare in casa per essere protetti da uno stalker che ha piegato il mondo.
Sono stati strappati ("giustamente") alla scuola, allo sport, alle birrerie, al cinema, ai concerti, agli amici, ai nonni, a un padre separato dalla loro madre che vive in un comune diverso.
Sono stati privati ("giustamente") di caldi abbracci, dolci baci e tenere carezze da parte di chi li ama.
Sono stati privati ("giustamente") della possibilità di vivere come è giusto vivere alla loro età, costretti a sentir parlare di ricoveri e decessi, economia a rischio e ritorno alla normalità ancora lontano.
C'è chi prega e chi detesta chi invita a pregare, chi autocertifica e chi controlla la compilazione di ciò che ha già perso valore, chi muore e viene trasportato lontano da chi vive, chi rischia di morire ed è obbligato a rimanere vicino a chi respira a stento.
C'è chi ha chiuso e forse non riaprirà mai più, chi considera eroe chi va a lavorare, chi è ammalato in casa e chi da casa fa finta di lavorare.
C'è chi segue lezioni grazie alla tecnologia e chi, grazie a quella stessa tecnologia, rimane in vita; chi implora aiuto e chi non ha più la forza per farlo, chi si veste da sciacallo guardando il proprio fatturato e chi si sveste da imprenditore e dona milioni di euro per essere ricordato.
C'è chi non potrà fare gli esami di maturità, non di certo conditi di quella completa dose di emozioni fatta di tatto che tutti abbiamo sperimentato.
Li ricorderanno come i mesi del corona, in cui si era in quarantena e ci si preparava a diplomarsi in pigiama e ciabatte, da casa: rimarrà impressa nella loro mente una pandemia che si è presa anche il diritto di potere lasciarsi esaminare di persona.
Io lavoro come molti stanno facendo. 
Per qualcuno è una fortuna ma, a quanto pare, per altri non lo è.
Guardo dietro le sbarre il sorriso dei miei ragazzi e mi accorgo che, al contrario di me, loro non lo hanno ancora perso.
Allora spero come tutti e aspetto come pochi.
Già, perché a sperare siamo tutti bravi, ma ad attendere ci vuole pazienza, ottimismo, fiducia, e trovare tutte queste cose messe insieme e in un colpo solo, oggi è davvero difficile.
Ho due sorrisi che mi stanno aiutando; erano già belli prima, ma in giorni come questi, si stanno dimostrando ancora più smaglianti e splendenti.
Tra una condanna e un'assoluzione, tra una sbarra e un colloquio a distanza e tra un decesso e una guarigione, grazie al sorriso dei miei figli riesco ancora a credere che tutto questo finirà.
Ci ritroveremo acciaccati, piegati da ferite incurabili ed esausti da terapie invasive che avranno trasformato di certo ogni nostro metabolismo, ma saremo tutti più vivi di prima, salvi e ancora in tempo per abbracciarci e ricordare chi vivo non lo è più.




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mercoledì 25 marzo 2020

Ma a chi la volete raccontare?
Vi serviva far crollare l'economia mondiale per ripartire da zero.
Vi serviva far collassare i piccoli e i grandi imprenditori con le loro imprese.
Vi serviva mandare al creatore migliaia di persone anziane già in pensione.
Vi serviva una guerra da combattere senza armi che facesse le stesse vittime di quelle armate.
Avete prima ricercato e poi trovato tutto quello che vi occorreva in un laboratorio e ci avete congedato con uno striscione colorato come l'arcobaleno.
Sopra ci avete scritto che ANDRÀ TUTTO BENE, ma a quel monito così carico e pieno di ottimismo, non ci ha mai creduto nessuno.
Non è così?
Provate a domandarlo ai familiari dei passeggeri trasportati chissà dove da quei lugubri camion dell'Esercito.
I fari accesi di quelle colonne spente rimarranno il lumini tristi della vergogna che vi consumerà.
Ci avete fatto cantare come fossimo tutti fulminati, affacciati ai nostri balconi stonati e alle nostre finestre ancora da accordare.
Ci avete regalato i vostri arresti domiciliari barattando la nostra libertà.
Ci avete vestito da carnevale facendoci sfilare con guanti e mascherine.
Ci avete trasformato in zombie timorosi di infettarsi vicendevolmente.
Esistono tanti romanzi e tante leggende, favole tristi e fiabe allegre, gialli irrisolti e noire intriganti.
Verrà un giorno in cui studieremo questa vostra porcheria nei libri di STORIA, ma il finale che stamperemo non sarà quello che avevate immaginato, perché a vincere questa battaglia saremo noi, insieme a tutti gli eroi che per colpa vostra se ne sono già andati senza neppure un funerale.
Forza Bergamo.
Forza Milano.
Forza Brescia.
Forza Cremona.
Forza Lombardia.
Forza Piemonte.
Forza Italia.
Forza Spagna.
Forza Europa.
Forza Mondo.
Vinciamo questa guerra:
torniamo a sognare.




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martedì 24 marzo 2020

Sapete qual è la cosa che più mi preoccupa quando riesco a non pensare a quelle colonne di mezzi militari che trasportano centinaia di anime restituite al cielo?
L'idea che quando tutto questo sarà finito, ci ritroveremo simili a quello che eravamo prima che fosse cominciato.
Sarebbe una catastrofe in grado di fare più vittime della pandemia che stiamo cercando di sconfiggere.
Invece di allenare gambe e braccia, investiamo in silenzio ed autocritica.
La politica diventi più responsabile nel progettare il bene dei popoli.
In chiesa si parli anche di altro, oltre che delle sacre scritture.
Nelle scuole, insieme alla letteratura, si insegni il senso civico.
Lo sport, quello vero, torni ad essere passione e non esclusivamente industria.
La vita rifiorisca nella sua completezza, per restituire agli uomini i colori che meritano.




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domenica 22 marzo 2020

Gli uomini sono impazziti.
Forse sono sempre stati pazzi senza esserne consapevoli.
Trascorrevano la loro vita correndo, sperando di dover frenare, prima o poi, ogni maratona quotidiana senza podio a cui partecipavano.
Oggi non a tutti è concesso di respirare e ai tanti fortunati a cui è concesso di potere continuare a farlo senza aiuto, bisogno obbligarli a...non correre.
Gli uomini sono incoscienti.
Qualche mese fa la spregiudicatezza poteva premiare, ma oggi trasforma il suicidio in omicidio.
Nessuno aveva il pieno nel serbatoio della propria automobile; viaggiavano tutti perennemente a riserva.
Oggi sono in coda ai distributori per assicurarsi che quella spia arancione non si accenda per nessuna ragione.
Nessuno aveva il frigo pieno di strabordanti generi alimentari.
Oggi litigano in fila ai supermercati per decidere a chi tocca prima e a chi tocca dopo accaparrarsi le ultime bottiglie di latte fresco.
Nessuno aveva mai pensato di riempire un cartone di scarpe con delle medicine.
Oggi hanno sostituito quel cartone che non avevano con farmacie portatili che sembrano dispense ospedaliere.
Gli uomini sono impazziti.
Forse sono sempre stati pazzi senza esserne consapevoli: sono lamento per essere stati obbligati a restare a casa, sono apatia per la non capacità di poter riscoprire ciò che avevano dimenticato ma, soprattutto, sono egoismo per la mancanza totale di rispetto per chi muore e non sopravvive, per chi sopravvive rischiando di morire e per chi crede che obbedire oggi non è un male ma un dovere.
Chissà che cosa pensano di noi; in fin dei conti li abbiamo sempre amati e non abbiamo fatto altro che attenerci alle loro leggi.
Se imparassero un po' da noi, magari riconquisterebbero molto prima il diritto di tornare ad abbracciarsi, ritornerebbero presto a correre in strada solo per andare a lavorare, riuscendo finalmente a diversificare il sudore del quotidiano dall'eccezionalità della passione.
Se imparassero un po' da noi, magari imparerebbero ad amare un po' di più.
Gli uomini dovrebbero riuscire a conquistare la presunzione che non sono le code disegnate per la sopravvivenza del corpo a restituire dignità alla loro esistenza, ma quelle che mettono in fila il senso civico e le buone maniere, la riconoscenza e il silenzio, l'ottimismo e la voglia di ripartire più forti di quando un virus li ha sconfitti.
Io resto alla finestra a guardarli: oggi tutti i balconi che vedo da qui, stranamente sono occupati da arcobaleni e bandiere italiane.
Chissà, magari questa è la domenica giusta, quella prescelta affinché ogni uomo cominci a curare la pazzia del sentirsi morto nonostante respiri ancora.




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sabato 21 marzo 2020

È passato poco meno di un mese dall'ultima volta che vi ho abbracciato.
Non avrei mai immaginato che qualcuno o qualcosa ci avrebbe costretto a stare lontano in maniera così innaturale e per tutto questo tempo, eppure è accaduto.
C'erano giorni in cui l'unica cosa che ci divideva era la notte; l'uno mi rimproverava di essere stressante e "palloso", l'altro di non riuscire a farmi una ragione riguardo al suo "essere cresciuto".
Questo distacco comincio a sentirlo seriamente.
I baci della buonanotte e quelli del buongiorno, gli abbracci e i sorrisi, le partite di calcio e le passeggiate in collina.
Andrà tutto bene, è vero, ma oggi tutto il bene che verrà ha la forma del distacco, dell'irraggiungibile, del "posso venire a farvi un saluto fuori dalla finestra".
Sorridiamo, e va bene, ma quanto è difficile non avvicinarsi per godere del più alto gesto d'amore che un padre possa scambiare con i propri figli.
Maledetto COVID - 19.
Noi ti annienteremo con la più inaspettata delle armi, quella che tu ci stai obbligando a non usare, quella che avresti voluto ci sconfiggesse, quella che oggi è priva di bombe a forma di abbracci e proiettili lunghi come baci.
Saremo noi ad abbattere te, rastrellando ogni confine di sofferenza e resuscitando ogni indispensabile battito di felicità.
Noi ti disintegreremo col l'amore, lo stesso amore a cui tu hai tolto con infamia gusto, tatto e olfatto, vista, udito e...abbracci, abbracci, abbracci.
Ne usciremo più forti di prima.
Alle mie ali e a tutte le ali del mondo che aspettano il ritorno dei propri papà o delle proprie mamme da un reparto ospedaliero, da una pattuglia fatta in strada con la divisa addosso, da un presidio di volontariato, da un ufficio postale, da un supermercato o da una farmacia, chiedo di tirar fuori il meglio in questa fase della guerra che ci sta bombardando: restate a casa e siate pronti perché presto il volo lo spiccheremo tutti insieme e, da lassù, vedremo di certo un mondo migliore.




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giovedì 19 marzo 2020

C'è chi contagia perché è stato contagiato.
Chi è intubato e non ha potuto farne altrimenti.
C'è chi si risveglia ringraziando in lacrime chi lo ha soccorso.
Chi muore è non ha avuto modo di farlo.
C'è chi cerca risposte cantando affacciato al balcone di casa.
Chi abbassa le serrande perché le ha già trovate.
C'è chi mette tutti i giorni la mascherina in trincea.
Chi indossa tuta e scarpini per andare a correre.
C'è chi fa la coda per fare la spesa.
Chi invece di andare a fare la spesa va a farsi fare la coda.
C'è chi si sente stressato perché obbligato a rimanere a casa.
Chi dentro quell'obbligo ha riscoperto l'amore per le ricchezze dimenticate.
C'è chi resta in pigiama ventiquattr'ore al giorno.
Chi mette lo stesso camice del giorno prima per non potersi permettere di cambiarlo.
C'è chi scarica in poco tempo le batterie dei telefonini.
Chi invece mangia libri a pranzo e a cena.
C'è chi dipinge striscioni da appendere alla finestra.
Chi dalla finestra rimprovera i passanti.
C'è chi decanta di aver aumentato il fatturato.
Chi, al contrario, piange tutti i giorni perché spera di rivederne almeno la metà.
C'è chi non vuole stampare banconote per aiutarci.
Chi non aspettava altro per affossarci.
C'è chi dona milioni perché crede sia giusto.
Chi sta cercando il modo migliore per assaporarne il gusto.
C'è chi rivendica straordinari e aspettative speciali.
Chi fa doppi turni e viene mal giudicato.
C'e chi si crede il fenomeno del raggiro.
Chi ha perso il lavoro e spera nel contagio per lasciarsi morire.
C'è chi fugge per campare.
Chi s'incazza per non crepare.
C'è chi scappa per sentirsi libero.
Chi viene sanzionato per aver violato quel sacrosanto diritto.
In che mondo ci siamo cacciati; siamo tutti stretti dal bipolarismo delle pagine di un capitolo storico che ci vedrà divisi.
Da un lato i perdenti e gli sconfitti dal male, dall'altro gli eroi e i vincitori di un'emergenza per cui si è sacrificata ogni cosa.
Andrà tutto bene per un polo: per l'altro sarà un disastro da sanare, una terapia intensiva da seguire, una resurrezione per cui pregare.
Ma dentro questa guerra che ha la forma di un atomo, tra le piccolezze virali dei vinti e le emergenze inaspettate dei perdenti, ci sono nuclei chiamati MORTI.
Rispettiamo il dolore di chi non ha potuto neppure rendergli l'ultimo saluto, magari celebrando un sacrosanto funerale, perché come sempre siamo bravi ad immaginare, crediamo sia un problema che riguardi solo gli altri e mai noi.
Abbandoniamo quel nucleo, ora e prima che sia troppo tardi.
Trasformiamoci in particelle fresche capaci di coagulare sangue nuovo, un carburante indispensabile per far rinascere un mondo migliore di quello così frenetico e distratto che abitavamo fino a qualche mese fa.
C'è chi crede che questo sia impossibile.
Chi darebbe la vita per vederlo realizzato.
Buona festa del papà a chi, come me, ha due valide ragioni per farlo.




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lunedì 16 marzo 2020

Siamo rinchiusi giustamente in casa, come se avessimo avvertito le sirene che in guerra anticipavano i bombardamenti.
Siamo preoccupati di non uscire e di giudicare irresponsabile chi lo fa, affacciandoci ai balconi e alle finestre delle nostre galere trasformate in platee e gallerie riempite per concerti gratuiti.
Rabbrividiamo nell'ascoltare chi canta per noi e ci emozioniamo nel cantare per gli altri, riscoprendo il piacere di appartenere non solo alle nostre famiglie, ma anche a chi ci abita accanto, di fronte, sotto e sopra.
Un virus ci sta unendo allontanandoci.

Una pandemia che contagia a meno di un metro sta abbracciando la nostra vita a quella degli altri, confondendo i concetti più umili che sposano i deboli con le più ardue idee del paradosso che trattano i potenti.
Fino a qualche settimana fa, tutti lamentavamo un sistema sanitario nazionale inefficiente; oggi lo osanniamo ringraziando e battendo le mani agli operatori ospedalieri che, come per incanto, si sono trasformati in eroi.
Fino a qualche settimana fa, tutti ci sentivamo europeisti straconvinti; oggi rinneghiamo la cuginanza con la Francia e la Germania perché le donne che le rappresentano ci hanno voltato le spalle.
Fino a qualche settimana fa, tutti non facevamo altro che scegliere i semi da piantare nel nostro orticello; oggi riconosciamo povero di concime quel terreno che avevamo deciso di coltivare, preoccupati di non riuscire a raccogliere nessun frutto nei mesi che verranno.
Eppure cantiamo in coro dai balconi delle nostre case che l'Italia s'è desta, che il cielo è sempre più blu e che, dopo esserci svegliati, abbiamo trovato l'invasor.
Che paese d'infettati il nostro; dovremmo davvero provare un po' di terapia intensiva per resuscitare l'orgoglio  di sentirci "popolo" e non "gregge".
L'invasore era già in casa nostra e non lo sapevamo; non avevamo certo bisogno di andare prima a dormire per poi risvegliarci e riconoscerlo.
Andrà tutto bene, ne sono certo anch'io, ma quando tutto questo calvario sarà finito e l'unica cosa che vedremo spuntare da quei vecchi orticelli abbandonati saranno "cetrioli" europei da condire e da mangiare in insalata, ricordiamoci di ciò che eravamo e di ciò che ci hanno fatto diventare.
La politica non ci salverà con le manovre finanziarie, ma con scelte di campo forti e coraggiose che dovranno farci fare un passo di fianco, ne avanti, ne indietro.
L'Europa dovrà fare la madre e le nazioni che la compongono saranno i figli che lei dovrà allattare.
Ogni pargolo ha il diritto di vedersi garantita la stessa quantità di latte dei suoi fratelli, ed ogni madre ha il dovere di sfamare tutti i propri figli allo stesso modo, ma se qualcuno di essi è carente di calcio o di vitamine, non deve sentirsi in colpa se il condimento di un biberon destinato ai più bisognosi sarà più carico rispetto a quello degli altri.
Questi sono i giorni del silenzio, del surreale, dell'imprevedibile.
Quando ci risveglieremo da queste tenebre, cambiamo disco e proviamo a scendere in piazza per non lasciarci comandare più da nessun paese che ci vive intorno arrogandosi il diritto di spendere o risparmiare coi nostri sacrifici.





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domenica 15 marzo 2020

Buongiorno e felice nuovo risveglio a voi tutti, detenuti in regime domiciliare obbligatorio come me.
Stamattina pensavo a quanto di positivo porterà agli uomini la distanza forzata che stiamo rispettando.
Avete notato come in questo momento, dentro cui sembra di vivere al rallentatore, i nostri sensi invece viaggino a mille?
I rumori diventano assordanti, i suoni e le note musicali diventano limpide arrivando più in profondità.
Siamo in grado di vedere tutte le sfumature dei colori dell'arcobaleno dipinto da un bambino, che addirittura ci fanno prima tremare e poi commuovere.
Anche il gusto di ciò che cuciniamo e mangiamo si è trasformato in festa; sembra tutto più buono quando hai la possibilità di sederti a tavola a meno di un metro di distanza.
I profumi invadono ogni angolo della casa e la capacità di questo meraviglioso senso di richiamare i ricordi alla mente, è in continuo movimento per tutti.
Passerà tutto, presto, attraverso lui: il tatto.
Eravamo capaci di vedere, sentire, parlare, cantare, urlare, danzare e amare solo grazie a lui: il tatto.
Oggi stiamo riscoprendo che di recettori disseminati su tutto il nostro corpo ne abbiamo altri, ma il più importante è anche il più penalizzato in questo momento: il tatto.
Rimarrà il più potente e il più caloroso di tutti ma, grazie alla sua assenza, avremo imparato a rispettarlo di più quando tutto questo sarà finito.
Buona giornata al mondo, e che la domenica arrivi per tutti quanto prima.




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venerdì 13 marzo 2020

Grazie a Gianni riuscii a strapparti il tempo di un caffè per chiederti di preparare la prefazione al mio primo libro.
Ricordo l'emozione che provai quando dalle tue labbra uscì quel "certo che te la scrivo, con grande piacere; fammi avere una copia del manoscritto così comincio a lavorarci".
Rimarrà la più bella prefazione mai scritta.
Il passaggio a cui sono ancor oggi più legato, è quello che racconta di "un libro dentro cui c'è poco della vita professionale di un poliziotto.
Non ci sono tracce di gesti eroici, di sparatorie, di battaglie contro il crimine, di vittorie o di sconfitte, di presunti torti subiti.
Non ci sono nemmeno corse d'auto con le sirene spiegate o rocamboleschi inseguimenti.
Non c'è neppure la cronaca compiaciuta di un intuito speciale per risolvere i casi più intricati, ma c'è solo un modo efficace per raccontare cosa è davvero un poliziotto, un uomo il cui lavoro è fare rispettare le leggi, le norme del vivere comune, la stessa essenza di una democrazia conquistata a suo tempo con un duro prezzo".
Con la tua penna di fuoco hai combattuto perché tutti rispettassero il nostro lavoro.
Sei stato prima minacciato poi scortato, deriso e offeso, querelato ed indagato: e per cosa?
Per avere scritto delle verità scomode che oggi pochi avrebbero il coraggio di scrivere come hai avuto tu?
Quanto mi dispiace aver avuto la notizia che non ci si aspetta.
Germana in lacrime mi ha chiamato per avvisarmi e ripetermi quello che ci siamo sempre detti nelle nostre chiacchierate parlando di te.
Eri e rimarrai una persona speciale, corazzata e inamovibile davanti alla giustizia, pungente e spudorata nei confronti dell'illegalità, generosa e stracolma di una bontà d'animo rara.
Adesso i tuoi occhi potranno tornare a vedere le righe della carta stampata che amavi riempire.
Solo tu avrai la fortuna di aprirli invece che chiuderli.
Scrivi Massimo, scrivi ancora per me, scrivi ancora per noi, scrivi ancora per questo mondo malato che uccide prematuramente sempre i migliori, lasciando spazi vuoti da completare a chi dovrebbe usare matite cancellabili invece che penne indelebili come la tua.
Avrei voluto leggere ancora una tua nuova prefazione al mio nuovo libro: non ho fatto in tempo, non c'è stato tempo, maledetto tempo.
Rimani a chiacchierare con me; fatti abbracciare e lasciati stringere, e che si fotta ogni corona infetta da virus.
"Scorre il tempo, mai così impietoso, animato dalle persone che non ci sono più o che sono semplicemente sparite dall'orizzonte per motivi non sempre così facili da spiegare".
L'hai scritto tu per la mia notte.
Oggi sei tu ad essere andato via; sei partito per un viaggio senza ritorno che ti darà lavoro in paradiso, lontano dalla Val di Susa e da tutti i presidi che hai contestato.
Oltre quell'orizzonte riesco ancora a riconoscerti col tuo giubbotto di pelle scura ed i tuoi occhiali da sole: mi saluti dal finestrino posteriore di quella Giulietta grigia guidata da Gianni.
Dalle tue labbra riconosco la frase che mi hai sempre ripetuto in vita:
"Tenete duro, ce la faremo".
Oggi più che mai lo faremo anche per te.
Ciao amico mio.




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Quando tutto questo sarà finito, giuro che non spenderò più un centesimo dei miei spiccioli per il popolo francese.
Al diavolo Parigi e la sua torre di ferro battuto arrugginito: noi abbiamo monumenti di arte pura in ogni angolo del paese.
Si sfaldino le boutique della loro moda sciatta e crescano le nostre firme innovative e sorridenti.
Stapperò bottiglie di vino buono prodotto nel mio stivale e con i loro champagne annaffierò i gerani dei miei balconi.
Guiderò automobili costruite a Torino con la speranza che qualcuno, un giorno non molto lontano, possa trasportarci dentro ciò che ci appartiene per riportarlo a casa.
Mi riferisco alle opere d'arte firmate da Leonardo e Canova, custodite oltralpe dentro i musei edificati con i soldi di chi li visita pensando che il tutto sia patrimonio francese...
Tra questi ci siamo da sempre anche noi, Puffi per Gargamella e Capre per Sgarbi, pellegrini di un bosco governato da chi è capace di lavarsi solo le mani nei lavandini disinteressandosi di tutto il resto.
I furti napoleonici si verificano ancora oggi nella evidente e preoccupante arroganza del popolo francese, che si sente autorizzato a formulare giudizi dettati solo dall'invidia.
Capisco che trovarsi a dover vivere confinanti coi migliori, coi più belli e coi più forti porta a logorarsi il fegato, ma non è colpa nostra se non sono capaci di cucinare un piatto di spaghetti al pomodoro o cuocere una pizza dentro un forno a legna.
Pazienza per la mia barba: indubbiamente i prodotti migliori per la sua cura provengono dalla loro capitale.
A questo punto deciderò di farla crescere ulteriormente, con l'auspicio di diventare ancora più barbone di quanto non lo siano loro.
La presa della Bastiglia abbia inizio: almeno così avranno modo di raccontare al mondo chi sono veramente.





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Questa guerra ci ha resi tutti GEMELLI eterozigoti, fratelli e sorelle della vita e figli di una terra VERGINE degli scenari a cui oggi assistiamo.
Viviamo ogni giorno il timore di rimanere vittime del morso di uno SCORPIONE velenoso, vinti dal peso di una BILANCIA ormai sfasata e persi dentro gli equilibri saltati di ogni storica certezza e di ogni vecchia convinzione.
Ci sentiamo PESCI fuor d'acqua, nonostante navighiamo nell'ACQUARIO delle nostre case chiuse.
Stiamo provando a difenderci da un CANCRO a forma di corona che come un ARIETE incorna chi prova ad attaccarlo.
Ognuno di noi ha il dovere di trasformarsi in SAGITTARIO, un essere mitologico che ha da sempre rappresentato una parte umana e razionale e l'altra istintiva e violenta, l'una per difendersi, l'altra per combattere.
Ogni LEONE è re della sua foresta, e per salvarci da questa boscaglia impervia, avremo bisogno del suo grande coraggio, magari con l'aggiunta di tanta forza pari a quella di un TORO: forza e 
coraggio, coraggio e forza!
Leggo che chi nasce sotto il segno del CAPRICORNO ha notevole tenacia ed ambizione nel provare a raggiungere i suoi obiettivi, unita a una discreta dose di riflessione ed autocontrollo.
Sapete quando si è manifestato per la prima volta il virus maledetto che ci sta cambiando la vita?
Nello stesso periodo dell'anno in cui sono nati gli uomini che portano questo segno.
Guerrieri: chiediamo pure aiuto alle stelle cadenti, ma vinciamo insieme a loro questa maledetta guerra.




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mercoledì 11 marzo 2020

Restare a casa.
Quanto costa sperimentare i domiciliari senza aver commesso alcun reato?
Quanto annoia buttare via il telefono per leggere un libro?
Quanto sfianca godersi ciò che conta veramente?
È pazzesco: un virus ci restituisce la corona della convivenza e noi lamentiamo restrizioni e deterrenti.
Restare a casa.
Ce lo chiede il Presidente del Consiglio, il cantante famoso e l'attore simpatico.
Ce lo chiedono i nostri genitori, i nostri figli e i nostri amori.
Ce lo chiedono i professori, il personale medico e le forze dell'ordine.
Ce lo chiede una coscienza che abbiamo scoperto di avere in guerra, dimenticata in pace, ma pur sempre viva.
Che vergogna, gli uomini non sono più in grado di chiudere fuori dalla porta ciò che conta meno.
Eppure nulla vale di più di quello che custodiamo nelle nostre case, nulla può rendere più felici di una messa in pausa del tempo che ci è stato permesso di vivere, magari per tirar fuori ciò che abbiamo abbandonato.
Una cena, magari a luci spente...
Un abbraccio, magari silenzioso...
Un gioco da tavola che racconta la nostra infanzia...
Uno strumento musicale impolverato che riprende a strimpellare...
Un album fotografico dimenticato da sfogliare...
San Francesco avrebbe considerato il COVID-19 come un fratello più cattivo degli altri, come un Caino e non certo come un Abele, ma pur sempre come un fratello; una scusa velenosa in grado di risvegliare le coscienze, il senso civico, l'appartenenza a un mondo capovolto dalla frenesia, ferito dall'abitudine e ucciso dall'egoismo.
Io resto a casa, e quasi quasi riesco addirittura a perdonare il responsabile di questo tsunami che ha già fatto troppe vittime e certamente ne farà ancora.
La mascherina mettiamola sugli occhi se proprio non siamo in grado di vedere oltre, perché se dopo questa esperienza continueremo a prendere aerei, treni e pullman a mezzanotte per scappare dall'appartenenza al nostro mondo, vorrà dire che valiamo meno di quel pipistrello indifeso che mai avrebbe voluto accadesse tutto questo.
Onore alle persone intelligenti, ai medici, agli infermieri, alle forze dell'ordine, a quella parte d'Italia che ha capito come bisogna vivere.
Disonore a chi fugge, a chi urla con un megafono per sostenere chi evade, a chi reclama in giorni come questi il diritto a una libertà che ha violato da sempre sfruttando il buonsenso degli onesti.
Restare a casa.
Una buona occasione per non morire!





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domenica 8 marzo 2020

Buona festa a voi tutte che ci insegnate l'amore, a voi che ce l'avete fatto conoscere per la prima volta e a voi altre che mai riuscirete a farcelo dimenticare.
Buona festa a voi tutte che continuate ad emozionarci, a voi che sapete sempre come fare quando tutto sembra crollare e alla vostra capacità di reagire anche quando chiunque, al posto vostro, avrebbe gettato la spugna.
Buona festa a voi tutte profumate di buono, ai vostri capelli mai scompigliati e alle vostre mani sempre curate, alle vostre gambe depilate e ai vostri baffi mai notati.
Buona festa ai vostri sorrisi meritati e alle vostre lacrime ingiuste, al fondotinta che abbellisce e ai lividi farabutti che mortificano, alle minigonne accattivanti e ai burqa innaturali.
Buona festa dagli uomini belli e brutti, da chi con la dolcezza ha saputo amarvi e da chi con la violenza è stato addirittura in grado di ammazzarvi.
Buona festa a te, D O N N A: spero che il sole oggi splenda per tutte.




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Ci chiedono di rimanere uniti e poi ci impongono di non avvicinarci a meno di un metro.
Ci chiedono di lavarci spesso le mani nonostante le uniche a rimanere ancora sporche siano le loro.
Ci chiedono di non andare in giro dove gli assembramenti sono più probabili, ma lasciano a tutti la facoltà di non farlo.
Ci chiedono di non baciare e stringere la mano a nessuno, nonostante i baci e gli abbracci sarebbero le sole medicine di cui avremmo bisogno.
Come e cosa possiamo rispondere a chi oggi chiede di fare attenzione, a chi implora il rispetto delle regole, a chi spera che tutto possa finire presto ma non ha la certezza che invece peggiori?
Facciamo la conta dei morti, degli infetti e degli infettati, delle zone rosse e delle zone gialle.
Proviamo a non superare certi confini per non correre il pericolo di essere ingabbiati dalla prevenzione e bloccati dai protocolli.
Ce ne stiamo chiusi in casa a leggere uno, nessuno e centomila libri impolverati e mai aperti oppure a scrivere le nostre prigioni inattese e mai abitate, come fossero celle marchiate dagli untori.
Ci mettiamo ai fornelli per cucinare con gli occhi rivolti alle televisioni e le orecchie aperte alle radio, tutti intimoriti da un mare in tempesta che non ne vuole sapere di aprirsi in due per lasciarci passare dall'altra parte.
Ci corichiamo riposati per aver trascorso il nostro tempo senza stancarci, ma ci risvegliamo esausti per aver sognato di tornare ad impegnarlo con l'intensità che merita.
Siamo in guerra ma nessuno spara, con i tendoni infermieristici occupati da numerosi feriti e i carri armati della oramai sconfitta prevenzione che non sanno più se attaccare o difendere.
Scuole chiuse per mettere in pausa la formazione.
Platee e gallerie sbarrate per lasciare spente le luci dei probabili aggravamenti.
Sport bloccato e musica spenta per lasciare immobili ed in silenzio tutte le nostre passioni.
Servirà a qualcosa?
Chissà.
Io rimango alla finestra a starnutire dentro i fazzoletti di carta, tristemente convinto di due cose importanti: la prima è che le confezioni del nostro "tempo" non sono infinite, e la seconda è che le stesse confezioni non avrebbero meritato di essere prima usate e poi gettate così in fretta, ma custodite gelosamente per essere sfruttate nel migliore dei modi.
Peccato, peccato davvero.





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venerdì 6 marzo 2020

Esistono uomini che credono di poter insegnare la vita al mondo, uomini che viaggiano sullo sterrato ma fanno finta di muoversi sull'asfalto.
Sono quei saccenti tristemente soli, che si accorgono dei tuoi leggeri movimenti invece di equilibrare le loro brusche sbandate.
Decantato la generosità d'animo ma rimangono restii al cambiamento, suonano sinfonie appaganti ma stonano lontano dalle platee, vivono col peso di un grado e muoiono nella leggerezza della distrazione.
Abbiamo tutti il diritto di scegliere la scuola della vita che vogliamo frequentare, e nessuno può decidere d'iscriverci ad un istituto piuttosto che ad un altro per il solo egocentrismo che disegna la loro volontà, evidentemente ben diversa dalla nostra.
Lasciateci in pace e bussate a un'altra porta, perché quando chiederete il permesso di entrare a casa nostra, nessuno vi aprirà.




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giovedì 5 marzo 2020

Tutte le mattine prendo il treno che da Chieri porta a Torino.
Capitano da sempre cose strane a bordo di questo servizio ferroviario metropolitano, occupato per la maggiore da statali e studenti del turno 08:00/14:00.
A parte che raggiungere la destinazione in orario è sempre un miracolo, c'è gente che vive di autismo puro, ricercando ogni giorno lo stesso posto a sedere, come se gli fosse stato assegnato dalla GTT subito dopo aver pagato l'abbonamento.
Noto, per esempio, personaggi che arrivano in largo anticipo in stazione per guadagnarsi la "propria" poltrona; un dinosauro in particolare, tutte le mattine si siede nell'ultimo posto dell'ultimo vagone.

Apre il suo romanzo e sorride come un idiota con un fumetto a forma di nuvolette stampato vicino alla sua testa pelata, dentro cui si legge sempre la stessa frase che suona più o meno così: "Anche stamattina ce l'ho fatta".
L'altro giorno ho provato a fottergli il posto; sveglia anticipata e passo veloce mi hanno permesso di giocare d'anticipo.
Perché l'ho fatto?
Non lo so, ma quando mi capita di poter immaginare di sorridere per una soddisfazione non lesiva nei confronti di chi ha qualche giorno della settimana in meno in testa, provo a trasformare quella mia ipotesi in realtà.
Arriva, sbuffa, si guarda intorno e quasi chiama il capotreno per esternare la sua rabbia mentre io col telefonino in mano rido a crepapelle facendo finta di guardare un video su YouTube.
Si allontana agitato lasciandosi sfuggire un glorioso TESTA DI CAZZO; parte alla conquista di un nuovo biglietto omaggio e di un'altra comoda poltrona diversa da quella che aveva prenotato.
Quanto divide la capacità di cominciare la propria giornata con l'idea di averla già finita rispetto a chi guarda sempre fuori dal finestrino immaginando quante cose belle potrà realizzare da li a poco?
Agli arrivi di ogni servizio metropolitano, ci saranno sempre scale da fare, che non saranno sempre mobili e accomodanti, ma anche ripide e faticose.
Dinosauri o teste di cazzo, risparmiamo le nostre energie psicologiche per cose più importanti: avere a disposizione più benzina nei serbatoi delle nostre fisime, contribuirà a non rischiare di rimanere in riserva.





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mercoledì 4 marzo 2020

Quanto vale un rapinatore figlio di un rapinatore, nipote di chi è recidivo nel delinquere e cugino di chi devasta "senza ragione" il Proprio Soccorso di un Ospedale?
Conta più o meno di un Carabiniere figlio di uno Stato che lo ha abbandonato dal primo giorno in cui si è arruolato, promettendogli giustizia e protezione ogni volta che avrebbe compiuto il proprio dovere?
Fa più paura una pistola finta impugnata da un quindicenne che lede con arroganza e violenza la libertà delle persone oneste oppure una pistola vera tenuta rigorosamente in fondina da chi ogni giorno prova a difendere per scelta e non per obbligo quella stessa libertà?
Ma davvero esiste ancora chi ha il coraggio di giustificare e difendere un adolescente pregiudicato che non ha ancora messo tutti i denti, condannando invece un giovane che il giudizio l'ha messo eccome indossando una divisa per il resto della sua vita?
La morte non la si cerca, la si aspetta, e far finta di non sapere che una rapina può inevitabilmente portare qualcuno ad incontrarla, è la più grande bugia mai raccontata dai finti moralisti, capaci così di sminuire quelli veri.
Spero che l'uomo morto per emorragia mentre qualche bestia distruggeva la dignità di chi avrebbe dovuto aiutarlo, possa riposare in pace.
Tutto il resto è roba vecchia; vedremo un film già visto che ci farà addormentare sul divano della nostra ignoranza, davanti a una televisione che sancirà una colpa e non giustificherà un dovere.
Se poi qualcuno ancora non è convinto che per compiere quel dovere si può rischiare di ammazzare, rassegnamoci a morire vittime di chi puzza ancora di latte.




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