domenica 8 marzo 2020

Ci chiedono di rimanere uniti e poi ci impongono di non avvicinarci a meno di un metro.
Ci chiedono di lavarci spesso le mani nonostante le uniche a rimanere ancora sporche siano le loro.
Ci chiedono di non andare in giro dove gli assembramenti sono più probabili, ma lasciano a tutti la facoltà di non farlo.
Ci chiedono di non baciare e stringere la mano a nessuno, nonostante i baci e gli abbracci sarebbero le sole medicine di cui avremmo bisogno.
Come e cosa possiamo rispondere a chi oggi chiede di fare attenzione, a chi implora il rispetto delle regole, a chi spera che tutto possa finire presto ma non ha la certezza che invece peggiori?
Facciamo la conta dei morti, degli infetti e degli infettati, delle zone rosse e delle zone gialle.
Proviamo a non superare certi confini per non correre il pericolo di essere ingabbiati dalla prevenzione e bloccati dai protocolli.
Ce ne stiamo chiusi in casa a leggere uno, nessuno e centomila libri impolverati e mai aperti oppure a scrivere le nostre prigioni inattese e mai abitate, come fossero celle marchiate dagli untori.
Ci mettiamo ai fornelli per cucinare con gli occhi rivolti alle televisioni e le orecchie aperte alle radio, tutti intimoriti da un mare in tempesta che non ne vuole sapere di aprirsi in due per lasciarci passare dall'altra parte.
Ci corichiamo riposati per aver trascorso il nostro tempo senza stancarci, ma ci risvegliamo esausti per aver sognato di tornare ad impegnarlo con l'intensità che merita.
Siamo in guerra ma nessuno spara, con i tendoni infermieristici occupati da numerosi feriti e i carri armati della oramai sconfitta prevenzione che non sanno più se attaccare o difendere.
Scuole chiuse per mettere in pausa la formazione.
Platee e gallerie sbarrate per lasciare spente le luci dei probabili aggravamenti.
Sport bloccato e musica spenta per lasciare immobili ed in silenzio tutte le nostre passioni.
Servirà a qualcosa?
Chissà.
Io rimango alla finestra a starnutire dentro i fazzoletti di carta, tristemente convinto di due cose importanti: la prima è che le confezioni del nostro "tempo" non sono infinite, e la seconda è che le stesse confezioni non avrebbero meritato di essere prima usate e poi gettate così in fretta, ma custodite gelosamente per essere sfruttate nel migliore dei modi.
Peccato, peccato davvero.





meraklidikos@gmail.com

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