lunedì 16 marzo 2020

Siamo rinchiusi giustamente in casa, come se avessimo avvertito le sirene che in guerra anticipavano i bombardamenti.
Siamo preoccupati di non uscire e di giudicare irresponsabile chi lo fa, affacciandoci ai balconi e alle finestre delle nostre galere trasformate in platee e gallerie riempite per concerti gratuiti.
Rabbrividiamo nell'ascoltare chi canta per noi e ci emozioniamo nel cantare per gli altri, riscoprendo il piacere di appartenere non solo alle nostre famiglie, ma anche a chi ci abita accanto, di fronte, sotto e sopra.
Un virus ci sta unendo allontanandoci.

Una pandemia che contagia a meno di un metro sta abbracciando la nostra vita a quella degli altri, confondendo i concetti più umili che sposano i deboli con le più ardue idee del paradosso che trattano i potenti.
Fino a qualche settimana fa, tutti lamentavamo un sistema sanitario nazionale inefficiente; oggi lo osanniamo ringraziando e battendo le mani agli operatori ospedalieri che, come per incanto, si sono trasformati in eroi.
Fino a qualche settimana fa, tutti ci sentivamo europeisti straconvinti; oggi rinneghiamo la cuginanza con la Francia e la Germania perché le donne che le rappresentano ci hanno voltato le spalle.
Fino a qualche settimana fa, tutti non facevamo altro che scegliere i semi da piantare nel nostro orticello; oggi riconosciamo povero di concime quel terreno che avevamo deciso di coltivare, preoccupati di non riuscire a raccogliere nessun frutto nei mesi che verranno.
Eppure cantiamo in coro dai balconi delle nostre case che l'Italia s'è desta, che il cielo è sempre più blu e che, dopo esserci svegliati, abbiamo trovato l'invasor.
Che paese d'infettati il nostro; dovremmo davvero provare un po' di terapia intensiva per resuscitare l'orgoglio  di sentirci "popolo" e non "gregge".
L'invasore era già in casa nostra e non lo sapevamo; non avevamo certo bisogno di andare prima a dormire per poi risvegliarci e riconoscerlo.
Andrà tutto bene, ne sono certo anch'io, ma quando tutto questo calvario sarà finito e l'unica cosa che vedremo spuntare da quei vecchi orticelli abbandonati saranno "cetrioli" europei da condire e da mangiare in insalata, ricordiamoci di ciò che eravamo e di ciò che ci hanno fatto diventare.
La politica non ci salverà con le manovre finanziarie, ma con scelte di campo forti e coraggiose che dovranno farci fare un passo di fianco, ne avanti, ne indietro.
L'Europa dovrà fare la madre e le nazioni che la compongono saranno i figli che lei dovrà allattare.
Ogni pargolo ha il diritto di vedersi garantita la stessa quantità di latte dei suoi fratelli, ed ogni madre ha il dovere di sfamare tutti i propri figli allo stesso modo, ma se qualcuno di essi è carente di calcio o di vitamine, non deve sentirsi in colpa se il condimento di un biberon destinato ai più bisognosi sarà più carico rispetto a quello degli altri.
Questi sono i giorni del silenzio, del surreale, dell'imprevedibile.
Quando ci risveglieremo da queste tenebre, cambiamo disco e proviamo a scendere in piazza per non lasciarci comandare più da nessun paese che ci vive intorno arrogandosi il diritto di spendere o risparmiare coi nostri sacrifici.





meraklidikos@gmail.com

3 commenti:

  1. Grazie per esprimere quello che la gente vuole dire ma non ha il potere quello letterario.Tanti in questo periodo fanno di tutto, tranne che leggere per trarne qualcosa di meraviglioso ❤️ trovarsi in tanti posti diversi e vivere situazioni nuove. Solo così potrebbero ammazzare il tempo, sara'ancora lunga,purtroppo, armiamoci dell unica arma che abbiamo la pazienza. Io direi ogni tanto facciamo una preghiera collettiva(voglio parlare italiano) da tutti i balconi d 🇮🇹 per tutti quelli che non ce l hanno fatta. Ognuno preghi il suo Dio affinché termini prima possibile, questa è l arma migliore. Poi però la scienza, i medici gli infermieri fanno tutto il resto l impossibile. Tutti noi insieme per un unico obbiettivo, La libertà.

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  2. Bravo Rocco,sono pienamente d'accordo con quello che hai scritto .Il mio pensiero in questo momento va a chi si sta dando anima e corpo cioè ai medici agli infermieri,a tutti quelli che ogni giorno si spendono fino allo stremo delle forze ,al personale tutto degli ospedali di tutt'Italia , Grazie grazie grazie ,

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  3. Io sono, (sarei) una europeista convinta se ci fossero le basi per esserlo. Gli Stati Uniti, sono una federazione di stati, che parla la stessa lingua, che ha la stessa storia, che ha combattuto una guerra civile per un’uguaglianza a lungo disattesa e mai purtroppo raggiunta. Ma un americano, bianco, nero, giallo, ricco, povero, ebreo, musulmano, si sente americano. Un europeo no. Non si sente europeo. Non lo sarà mai. Adesso lo abbiamo capito. Non parleremo mai la stessa lingua, non siamo nemmeno riusciti ad avere una sede unica del parlamento, perché c’è sempre uno più figo dell’altro che deve primeggiare. Tra l’altro il parlamento decide al massimo la lunghezza delle zucchine o la grandezza delle vongole... le nostre vongole. Cosa cazzo ne può sapere un danese, un tedesco, un belga, di vongole??? Lo sapranno i nostri veneziani, sardi, liguri!
    Cosa ne sanno loro di come si fa una pizza! Volevano proibirci i forni a legna! Vorrebbero che noi mangiassimo solo latte in polvere!
    Durante le nostre disgrazie abbiamo avuto sempre buone parole e gesti insignificanti. Terremoto dell’Aquila? La Merkel si prodiga ad esserci vicini “restaurando una chiesa”.
    Il classico centesimo buttato ai piedi del mendicante che si siederà sugli scalini di quella stessa chiesa!
    La Grecia viene distrutta per quell’invalicabile rapporto deficit/pil del 3%, ma non per una questione di principio, (punirne uno per educarne 100), ma per salvare le loro banche, dentro fino al collo nei debiti greci.
    E allora che si fa adesso?
    Si fa una rivoluzione copernicana. Anche la globalizzazione va bene a pochi, ma schiavizza tutti gli altri. E lo dice un liberale, liberista, democratico, quale io mi sento da sempre. Ci avevo creduto. Adesso non più. Lo abbiamo visto in questi giorni, in un video di Farinetti, (chi lo ha perso lo cerchi, è molto istruttivo) quanto sia meravigliosa l’Italia. Allora ripartiamo da noi stessi. Abbiamo le più grandi eccellenze a livello agroalimentare, tecnologico, medico/scientifico, design, moda. Ripartiamo da noi stessi, cominciando ad essere autonomi in tutto. Dall’energia, alla chimica, alle mascherine,a tutto il resto.
    Abbiamo il sole! Ogni tetto può produrre energia! Autoimpostiamo un piano Marshall dove facciamo ripartire intanto il mercato interno. Se non ce lo permettono ristampiamo moneta! Vogliono le nostre eccellenze? Le paghino il giusto, altrimenti le utilizziamo noi. Facciamo trattati bilaterali con chi ci sta, alla pari, non con contratti capestro. Volete venderci i vostri iPhone? Comprate il nostro parmigiano, altrimenti ce lo mangiamo noi.Poi ricordate, sapremmo anche farci i telefoni. Li abbiamo inventati noi! Volete venderci il vostro champagne, comprate il nostro prosecco altrimenti lo beviamo noi che è perfino più buono. E questo vale per la Cina, l’Inghilterra e tutti gli altri.
    È autarchia? A qualcuno viene in mente Mussolini? No. Lungi da me. Anche se allora era tutto partito dagli stessi stati, che volevano le colonie solo per loro che erano i grandi, e noi dovevamo restare a pascolare le pecore... da lì, le sanzioni, l’autarchia, la guerra.
    Ripartiamo da noi stessi. Questa deve essere l’ultima volta che ci facciamo prendere per il culo! Facciamolo per i nostri figli. Che possano avere un sogno a casa loro. Senza bisogno di andare all’estero a portare le nostre eccellenze. Il dopoguerra aveva un sogno. Ed è stato boom! Creiamoci un sogno. È fattibile. Basta sentirsi italiani non solo durante le partite di calcio, o sui balconi a cantare, ma da domani. Tutti insieme. Quando potremo riabbracciarci fra di noi.
    E senza bisogno di nessuno.
    Non dimentichiamo cosa recita la seconda strofa dell’inno di Mameli, che pochi cantano:
    Noi siamo da secoli
    Calpesti, derisi,
    Perché non siam popolo,
    Perché siam divisi.
    Raccolgaci un’unica
    Bandiera, una speme:
    Di fonderci insieme
    Già l’ora suonò.
    Stringiamci a coorte
    Siam pronti alla morte
    L’Italia chiamò.

    Ecco. Stavolta ci chiama davvero!

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