martedì 21 gennaio 2020

Mi chiedo spesso se sia io a sbagliare, se l'importanza che considero scontata riguardo a certe cose, sia un errore, una presunzione inconscia dettata dal non riuscire o dal non volere, quando invece meriterebbe un cambio di rotta o una rimappatura del viaggio esistenziale.
Mi chiedo spesso se anche gli altri ogni tanto si facciano le stesse domande che mi faccio io; se chi la vede rossa provasse ad immaginarla nera: come potrebbe sentirsi chi ha vissuto da sempre dentro ai colori se da un giorno all'altro fosse obbligato a galleggiare esclusivamente tra il bianco e il nero?
Mi chiedo spesso il perché spesso mi chiedo, e quasi sempre mi rispondo ciò che non vorrei sentirmi rispondere, perché concludo che sono quelli che non si fanno troppe domande a vivere meglio, proprio perché non sono preoccupati dal doversi dare necessariamente delle risposte.
Ci raccontiamo le nostre vite così diverse a lavoro, tra i banchi di scuola, in banca o in posta; chiacchieriamo in macchina o sui tram, in treno e in aereo, a colazione al banco o a cena seduti a un tavolo.
Facciamo pause pranzo quasi sempre più lunghe del tempo previsto, disegnando i nostri "ieri sera ho litigato con la mia ex moglie" oppure costruendo i più complessi "chissà che cosa deciderà di studiare a fine anno mio figlio".
Non guardiamo mai negli occhi i nostri interlocutori, li rendiamo schiavi dei nostri racconti "talvolta" interessanti oppure "spesso" inutili; ci infastidiamo per la loro indifferenza, fatta di sguardi distratti che puntano altrove, ma quando tocca a noi recitare quel copione che ci trasforma in parte lesa, non facciamo altro che imitarli chiudendo il ciclo dei confronti quotidiani dentro un perfetto cerchio di egoismo che non contribuisce certo a rendere questo mondo migliore.
Tutti sugli attenti per noi stessi e a riposo per gli altri, senza più marce dentro cui tenere il passo.
Tutti persi dal buongiorno alla buonanotte, senza mai dare il giusto peso ai ritornelli lontani dalle strofe, quelli che sappiamo ripeterci spesso sbagliando sempre il loro ingresso e la loro uscita.
- Si vive una volta sola...
- Basta che c'è la salute...
- Siamo di passaggio...
- Bisognerebbe vivere due volte...
- Vogliamoci bene...
Se fossimo bravi a suonare almeno quanto lo siamo a cantare, ogni giorno potremmo godere del riconoscimento di una bellezza rara che appartiene agli altri; in modo naturale anche gli altri godrebbero forse di qualcosa di bello che senza accorgercene siamo stati in grado di offrirgli.
Peccato essere ottimi cantanti e pessimi strumentisti; questo connubio mal riuscito non ci avvicina ma ci allontana, accelera il tempo che parla di conteggi per le pensioni e lascia il rammarico nel registro dei contributi versati per il rimpianto di non aver fatto oggi quello che ci eravamo ripromessi di fare ieri, consapevoli che anche quel domani arriverà a sottoscrivere che il nostro passato è trascorso privo di migliorie.
Mi chiedo spesso se sia io a sbagliare a pensare a tutte queste cose, ma seppur di raro, riesco a rispondermi che se il mondo ogni tanto si facesse le mie stesse domande, alla fine di una vita forse ogni uomo diverrebbe migliore di ciò che è.




meraklidikos@gmail.com

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