mercoledì 22 gennaio 2020

Lo scorso 15 ottobre 2019, in Commissione Affari Costituzionali, è approdata la proposta di legge nr. 1528 firmata da Giuditta Pini, deputata del PD.
Il solo numero forse non vi dirà nulla, ma il testo è chiarissimo.
L’articolo 2, infatti, prevede che “il casco di protezione indossato dal personale delle Forze di Polizia riporti sui due lati e sulla parte posteriore, un codice alfanumerico, che consenta l’identificazione dell’operatore che lo indossa.
Il codice alfanumerico deve poi essere applicato anche al gilet tattico e all’uniforme, in modo da essere chiaramente visibile sia davanti che da tergo.
In caso di mancato rispetto della legge, o se il codice venisse oscurato o scambiato con altri poliziotti, la violazione costerà all’operatore da 3000 euro a 6000 euro, più le sanzioni disciplinari del corpo a cui appartiene".
La proposta è stata presentata alla Camera lo scorso 23 gennaio 2019 e assegnata alla Commissione Affari Costituzionali il 15 ottobre 2019, appunto.
L’esponente politico riconosce il compito centrale delle Forze di Polizia, ma sostiene sia necessario "attrezzarsi di strumenti per la tutela dei cittadini contro eventuali abusi del diritto che occasionalmente si potrebbero verificare”.
Torniamo a noi, pecore marchiate!
Strano pare che tutto questo desiderio di ricerca della tutela avvenga in un momento storico scritto dentro i capitoli di una luminare enciclopedia politica costituzionalmente corretta ma pur sempre "non" eletta dal popolo; un popolo perso dentro uno stivale con un cuore a forma di una Regione che si chiama Umbria.
Ebbene, il paradosso del secolo ha voluto che nelle urne u.s. gli abitanti del nostro polmone, verde per natura e rosso per stoicismo, abbiamo sancito la netta non condivisione di una soluzione di questo tipo alla crisi di governo da poco trascorsa.
Perdonate il preambolo, ma era doveroso  ricordarlo a chi continua a non avere voglia di ascoltare ed è bravo a far finta di sentire.
La mia riflessione è alimentata da un diritto sacrosanto, un diritto che sposa il dovere di ogni appartenente al comparto sicurezza di dover esprimere il proprio dissenso nei confronti di questo suggerimento normativo a parer mio vergognoso, offensivo e pusillanime.
Ogni dovere abbraccia un diritto, e il nostro mescola la stessa democratica condizione di proporre scempi di questo spessore con la ferrea democratica possibilità di dissentire; il diritto di poter replicare, in divisa o in abiti civili e nelle vesti sindacali oppure in quelle militari.
Siamo, da decenni ormai, cittadini orfani dei governi e figli delle opposizioni; una politica "ovattata" che chiude le porte ad un rinnovo del contratto vetusto e marcescente fermo da anni che ha portato gran parte del personale a cacciare il prepensionamento; una politica "sorda" davanti alle urla di chi considera un'esigenza sedersi intorno a un tavolo per rivedere una riforma delle carriere che ha concluso riordini di qualifiche privi di senso e di equilibrio gerarchico ed economico; una politica "condizionante", che pretende dai vertici della nostra Amministrazione la diffusione di circolari interne che obbligano gli operatori di P.S. ad un utilizzo ponderato dei canali Social Network (giusto), al divieto dell'utilizzo di gruppi WhatsApp per diffondere informazioni di carattere propagandistico (giusto) e alla diffida all'acquisto di materiale non in dotazione di Reparto previsto dall'attagliamento per salvaguardare la propria incolumità (parliamone).
“E’ assurdo che in questo momento di vera ecatombe fra gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, il meglio che si riesca a proporre è di marchiare gli agenti come capi di bestiame, anche se in effetti vengono mandati al macello durante le manifestazioni.
Proporre gli identificativi per gli agenti significa negare la realtà.
I criminali sono altri: chi porta la divisa svolge un lavoro a tutela dei contestatori per garantire il diritto di manifestare, e non il contrario".
Queste le condivisibili dichiarazioni di Valter Mazzetti, Segretario Nazionale Generale della FSP, l'Organizzazione Sindacale che io rappresento nella provincia di Torino.
All'esternazione del Dottor Mazzetti, io aggiungerei che l'invio del personale in Ordine Pubblico con la previsione di un timbro a secco dei componenti del gregge in divisa, nasce dalla volontà (di chi la sottoscrive) di conoscere a priori quale dev'essere l'agnello da sacrificare indipendentemente dall'esito dell'evento.
In altri termini che si esca perdenti o vincitori da una battaglia che non dovrebbe neppure prevedere tali comparse, essere in grado di identificare i componenti di una sola squadra, rende felici i paladini della democrazia.
Or dunque mi chiedo: qual è la linea sottile e invalicabile che sancisce il diritto amalgamato al dovere?
Quando si vive nasce "l'imposizione del condizionamento" nell'operare, e quando si muore non esiste fatalità ma esclusivamente "la pena per l'errore commesso": conieremo la depoliziazione per fare un piacere a quanti la ricercano da tempo.
Niente foto in divisa se non per motivi istituzionali e certificati? Bene, questa volta rientriamo nel protocollo previsto.
A voi, cari colleghi, l'invito a non temere di scrivere MI PIACE a ciò che vi piace veramente, a non aver paura di condividere un pensiero o un'idea deontologicamente lecita e scevra da ogni condizionamento.
Il diritto di replica è di tutti, e la nostra difesa vale quanto quella che appartiene a coloro che non vorrebbero concederla.




meraklidikos@gmail.com

1 commento:

  1. Una proposta inaccettabile sotto tutti i punti di vista. Ne salvo uno:che tale codice venga evidenziato anche (e soprattutto) nel caso opposto, ovvero nel caso in cui, buttati nella bolgia, non vi si controlli per come vi potreste comportare ma per elogiarvi per come vi siete comportati (rare le manifestazioni senza reportage, troppi i servizi ben espletati senza riconoscimenti).

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