domenica 19 gennaio 2020

Grazie: cosa custodisce una parola così silenziosamente scontata?
C'è chi viene obbligato ad usarla, chi invece educato a ricordarla.
Qualcuno la disconosce dalla nascita, qualcun altro comincia a farne uso in fondo alla sua vita.
Per quel che mi riguarda, sono cresciuto col trauma di dimenticare di pronunciarla ogni volta che se ne presentasse l'occasione: al ricevimento di un regalo, nel ricambiare un gesto cortese, per un sorriso o una carezza, per una chiacchierata concessa da un amico o per una chiamata inaspettata di un collega.
Alla pazienza difficile da trovare, alla comprensione rara da corrispondere, al dolore inaspettato da sostenere, c'era sempre un grazie da ricambiare, sempre: se mi fossi mai zittito davanti a quell'obbligo, sarebbero partiti puntuali i rimproveri da parte dei luminari delle buone maniere che avrebbero reso giustizia a quella mancanza.
- Rocco: ci sono tre anziani che vorrebbero visitare il Commissariato.
Sono due donne e un uomo; dicono di essere nati tra queste mura un'ottantina di anni fa.
Che faccio?
- Vengo giù per provare a capirci qualcosa!
Nello scendere le scale, immaginavo cosa avrebbe potuto smuoversi nell'animo dei vecchietti che mi stavano aspettando; qualcosa di grosso e apparentemente indicibile li aveva riportati da noi, nella loro casa natia che nel frattempo era stata riadattata ad ufficio pubblico.
Chiedere coraggiosamente di rivisitarla a distanza di quasi un secolo, valeva quanto ricercare una risposta plausibile a tutte quelle mie domande.
Accelerai il passo voglioso di restituire ai loro occhi pieni di cataratta tante belle emozioni, magari persino troppo forti: sarebbero potute risultare anche letali, vista la loro età.
Incrociai un collega prossimo alla pensione:
- Se stai scendendo per quei tre dinosauri, tornatene pure su: gli abbiamo già detto che non è possibile fare giri turistici dentro uffici di Polizia.
Arrivai al Corpo di Guardia e dietro il vetro blindato e sporco che divideva la sicurezza dalla libertà, vidi due signore anziane e un uomo di mezza età.
Chiamai il mio Dirigente e mi feci autorizzare ad accompagnare quegli ospiti in un breve giro appiedato tra le mura dei piani superiori.
Era una persona giusta e umanamente attenta, per questa ragione ero certo che non glielo avrebbe negato.
- Ci mancherebbe: lascia che rivedano ciò che desiderano...
Le lacrime arrivarono al solo riscontro positivo; Giovanna, Rosanna e Marco anni prima avevano fatto lo stesso tentativo, ma non era andato a buon fine in quanto la loro richiesta era stata respinta.
Erano nati rispettivamente nel '35, nel '37 e nel '40.

Ogni passo di quel tour divenne motivo di abbracci tremuli e pianti interminabili.
Il primo arrivò nel vedere il mancorrente impolverato delle scale, che un tempo quei bimbi diventati adulti utilizzavano per lasciarsi scivolare nei giochi più folli.
- In quegli anni non c'era un filo di polvere!
- Signora bella, i tempi sono cambiati, e tanto...
Ne scaturì una risata liberatrice.
Mi indicarono gli angoli di quell'alloggio al terzo piano dove un tempo avevano visto la luce nel lettone della loro nonna, che da una finestrella minuscola ogni giorno osservava la Mole.
- Già, perché ancora oggi noi viviamo tutti e tre in alloggi con vista sulla Mole: non potevamo privarci di questa condizione dopo che per anni l'abbiamo vista ricrescere con noi a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Quando le sirene suonavano, ci nascondevamo in quei locali che avete sotto il cortile e spesso ci rimanevano per tutta la notte.
Il loro rifugio era il nostro ufficio reperti, la loro cucina il nostro archivio, i loro lavatoi le nostre cellette e i loro caminetti le nostre fotocopiatrici.
Giovanna e Rosanna erano più estroverse, e per quanto emozionate, avevano piacere di condividere quegli istanti con me.
Marco era un turista silenzioso che rimaneva indietro a tutti; soffiava il naso e asciugava le sue lacrime con un fazzoletto di stoffa che ogni tanto tirava fuori dal suo pantalone quadrettato.
Tutti e tre erano molto eleganti; per come vestivano e da come parlavano, non dovevano appartenere a un ceto sociale del tutto basso, per quanto ogni occasione era buona per ricordare che negli anni di via Verdi nr. 11 c'era solo miseria.
La nostra escursione durò circa 20 minuti, il terzo di un'ora in cui la parola "grazie" fu  pronunciata da ognuno di loro almeno ogni dieci passi.
- Lei non immagina: grazie davvero...
- Madonnina mia, che gioia: grazie di cuore...
- Giovanotto: non saprei come ringraziarla...
Dovetti quasi chiamare in ausilio qualche collega per riuscire a congedarli, ma la loro gioia divenne anche la mia, e tornare a lavorare carico di quei momenti così emotivamente forti impressi nei miei occhi, non poteva che essere motivo di orgoglio per quanto di buono ero riuscito a fare.
Dopo un'oretta ricevetti una telefonata dallo stesso collega che mi presentò i protagonisti di quella giornata:
- Rocco, c'è un pacco di cioccolatini per te.
Rifeci le scale e, non so perché, vivevo la speranza di ritrovarli davanti all'ufficio per riabbracciarli; questa volta avrei voluto ringraziarli io per l'amore e quel senso di ricchezza interiore che erano riusciti a raccontarmi con una fetta delle proprie infanzie.
Il collega mi consegnò quel pacchetto contenente cioccolatini acquistati in una pasticceria storica tra le più eleganti di Torino.
Pinzato alla bustina trasparente che li conteneva, c'era un biglietto con su scritto una sola parola.
Mi si aprì il cuore in due; nella mente sentii riecheggiare le urla felici di quei ragazzini impestati che si rincorrevano nel cortile dove oggi vi erano parcheggiate volanti e bidoni per la raccolta carta.
Vidi uno di loro fermarsi di botto; voltandosi mi guardò con gli stessi occhi lucidi di Marco e, sorridendo col ghigno felice di chi ha appena ricevuto un bel regalo, mi disse:
- Grazie...
Da quel giorno per me quella parola non ebbe più un valore silenziosamente scontato, ma divenne un cioccolatino prezioso da regalare a tutti.




meraklidikos@gmail.com

1 commento:

  1. Dicono che la vita sia un insieme di "déjà vu" e forse è proprio cosi, perche' ogni momento è uno scatto fotografico che imprimiamo nella nostra camera oscura e che in essa conserviamo gelosamente.
    Non sono solo scene, luoghi e persone che riaffiorano ma emozioni legate ad esse.
    A me capitò quando entrai per la prima volta, dopo molti anni, nel Liceo Gioberti di Torino, per iscrivere mia figlia Martina.
    Liceo a me caro perché diretto e seguito dal mio caro nonno Natale Grimaldi.
    Entrando nell'atrio avevo già il batticuore e man mano che salivo quell'imponente scalinata , vedendo le sue foto , appese alle pareti, raffiguranti lui con i suoi scolari, colleghi e personale scolastico di un tempo, sentivo riemergere nella memoria ricordi e situazioni a me care...
    Persino il profumo di casa sua!!!!!
    Quindi immagino le sensazioni che hanno potuto provare quelle tre persone che, grazie a te, Rocco, han fatto un tuffo nel passato.
    Un tuffo da un trampolino sicuramente alto... ma molto alto.
    Un "ritornare indietro nel tempo", con la consapevolezza che nulla è più uguale a prima.
    Si dona non per ricevere ma per il piacere infinito di rendere felice qualcuno che in quel momento ne ha necessità. Siamo tutti gocce di un grande mare.
    Felice giorno

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