lunedì 20 gennaio 2020

Ci sono differenti modi per scambiarsi un abbraccio, e non è del tutto semplice spiegarne le distanze.
Per riuscire a cogliere il senso puro di ciò che sto per raccontare, sarebbe interessante provare a immaginare cosa significherebbe leggere un libro ad occhi chiusi.
Dite che è impossibile? Lo state già facendo, perché non è la condizione fisica o il tatto che rende reali le cose, ma ciò che trasporta e trasforma ogni stato d'animo.
Mi trovavo seduto davanti a numerose persone in occasione della presentazione del mio primo libro.
Di fronte a me e una brava e bella giornalista che mediava l'andirivieni di quell'evento, c'erano presenze differenti di età svariate e colori multipli.
Parenti e amici, invitati e passanti, conoscenti e sconosciuti, tutti intenti ad ascoltare quello che veniva prima ricordato e poi discusso, in un confronto sereno accompagnato da sottofondi suonati alla tastiera di un pianoforte da mio fratello.
Quegli attimi erano talmente intensi da far vibrare il cuore, e quando questo accade ci si rende conto che la nostra anima sta viaggiando a mille in posti pari ad incognite dove nessuno mai era arrivato prima.
Il dilemma diventa presunzione quando ci si convince di averli già esplorati in passato, prima di accorgersi che non è così.
Le vibrazioni del cuore: occhi chiusi e braccia larghe in attesa di accogliere un abbraccio, apparentemente compiuto da corpi che si stringono, ma fino in fondo completato dai batticuori che lo accompagnano.
In altri termini esiste la convinzione di riconoscerne il valore, e la sorpresa di scoprirne la vera grandezza solo quando quelle vibrazioni cambiano le temperature dei corpi protagonisti di questo miracolo.
Frastornato da emozioni che ricordavano la mia adolescenza, quella sera accadde qualcosa che esulava da ogni mia certezza; lo stravolgimento di uno stereotipo fatto mio che mio non era, devastato dal terremoto di un gesto inaspettato che mio padre decise di fare nel bel mezzo di quell'incontro.
Al termine della lettura di un capitolo che lo riguardava, papà si alzò dalla sedia prendendo a schiaffi la sua introversione e portò il suo orgoglio vicino al mio.
Attimi di stupore accompagnati da un silenzio assordante, fino a quando la sua camicia azzurra si intrecciò con la mia quasi a volerne confezionare un prototipo nuovo da regalare ai presenti, fatto da due corpi capaci di trasformarsi in un'unica creatura mai vista prima.
Eccolo lì quel mondo inesplorato, accompagnato dalle vibrazioni dei nostri cuori che battevano in testa lubrificati dalle lacrime che bagnavano quel contatto.
Qualche ora dopo qualcuno ci raccontò che tutto questo sarebbe stato accompagnato da applausi commossi dei presenti, ma né io né papà ci rendemmo conto del contorno che ebbe quell'immagine.
Un inizio come una fine, per questa ragione ci sono differenti modi per scambiarsi un abbraccio, e non è del tutto semplice raccontarne le differenze.
Avevo 44 anni, mio padre 72: un secolo in due per scoprire la bellezza di un tesoro in cui avremmo dovuto entrambi investire da sempre.
- Grazie papà...
- Grazie a te, figlio mio...




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